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UN 2024 CON PIÙ CONSAPEVOLEZZA (E MENO DOGMI)

Si è chiuso il 2023, un altro anno difficile per i diritti sociali nella provincia di Massa-Carrara. I casi legati al Monoblocco e alla Sanac sono paradigmatici di quanto sta accadendo da oltre trent’anni in Italia: il declino della sanità pubblica e l’attacco ai diritti dei lavoratori. La parziale chiusura del Monoblocco e la conseguente perdita di servizi sanitari per Carrara è solo l’ultimo capitolo di una storia scritta sulla pelle dei più deboli costretti a due scelte: non curarsi o pagare e ricorrere alla sanità privata. Sull’altro fronte la vicenda Sanac è legata a doppio filo con l’ex Ilva e la rinuncia da parte dello Stato alle politiche industriali strategiche per un Paese. Non solo da un punto di vista economico-sociale.

Entrambe le vicende – ed è questo il passo che dovrebbe fare chi ha a cuore davvero i diritti sociali – sono una diretta conseguenza di scelta politiche. Non ci sono eventi naturali, divini, economici o finanziari indipendenti dalla volontà di chi governa che hanno determinato certe situazioni. Si tratta di scelte politiche, anche se spesso ci vengono presentate come “emergenze” o “cause di forza maggiore”. Scelte politiche determinate, in primis, da vincoli di bilancio a loro volta decisi politicamente.

E di vincoli di bilancio si è discusso molto nelle ultime settimane. Qualcuno si chiederà cosa c’entra, per esempio, il Patto di Stabilità con il Monoblocco e la Sanac. Purtroppo c’entra. Il Patto di Stabilità e prima ancora il Trattato di Maastricht coi suoi vincoli di bilancio, da oltre trent’anni limitano spesa e investimenti pubblici, condizionando le decisioni di politica fiscale dei governi (di tutti i colori politici). Sanità pubblica e politiche industriali sono anche spesa e investimenti pubblici. Ricordiamocelo sempre quando dicono che “il deficit deve essere ridotto”.

Alla base di queste limitazioni c’è, come risaputo, il famoso limite del 3% nel rapporto deficit pubblico/Pil (spesa e investimenti pubblici compongono il deficit, e anche il Pil). Meno risaputa, invece, è l’origine di quel 3%: «Se mi chiede se la regola adottata oggi in Europa, secondo cui il deficit di un Paese non debba superare il 3% del Pil abbia basi scientifiche le rispondo subito di no. Perché sono stato io a idearla, nella notte del 9 giugno 1981, su richiesta esplicita del presidente François Mitterrand che aveva fretta di trovare una soluzione semplice che mettesse rapidamente un freno alla spesa del governo. Così in meno di un’ora, senza l’assistenza di una teoria economica, è nata l’idea del 3%».

Queste parole le ha rilasciate nel corso di un’intervista al Sole 24 Ore, Guy Abeille, tecnico del governo francese negli anni ‘80. «Quell’anno – prosegue – il Pil era di 3.300 miliardi e la spesa si avvicinava a 100. Il rapporto non era quindi lontano dal 3%. Ecco il perché della formula. Poi tra l’altro cadeva casualmente sul “numero 3” che è noto al pubblico per vari motivi ed ha un’accezione positiva, si pensi alle Tre Grazie, ai tre giorni della resurrezione, le tre età di Auguste Comte, i tre colori primari, la lista è infinita. Un numero, magico, quasi sciamanico».

Quella regola ‘francese’, in occasione della discussione del Trattato di Maastricht, fu poi adottata a livello europeo (sempre con una decisione politica). Ora, pensate che tutto il dibattito che si sta svolgendo da anni intorno a quella regola – e le conseguenti politiche di tagli e austerità – è una conseguenza di una scelta anti-scientifica che di economico-finanziario non ha nulla. Nonostante ciò, nessun governo (di centrodestra o centrosinistra) ha mai messo in discussione davvero – e seriamente – una norma che tanto ha influito negativamente sulla vita reale delle persone, soprattutto quelle più deboli. Non ho memoria di governanti che giurano di fare “l’interesse esclusivo della Nazione” che hanno pubblicamente dichiarato che questo vincolo anti-scientifico non ha fatto certo “l’interesse esclusivo della Nazione” e dei suoi cittadini.

La riprova di questo l’abbiamo sperimentata negli ultimi tre anni. Nel 2020 il Patto di Stabilità coi suoi vincoli è stato sospeso – per garantire stabilità, sic! – e l’Italia è stato il Paese tra i grandi d’Europa a essere cresciuto di più. Nessuna conseguenza negativa. Eppure questo “salvifico” Patto di Stabilità non avrebbe dovuto farci bene? Perché è stato sospeso, allora? Ha ragione l’ex sindaco di Massa, il professor Alessandro Volpi, in una recente intervista che ha messo in evidenza come l’assenso del governo italiano alla riforma del Patto di Stabilità (o meglio di in-stabilità) non potrà che produrre maggiore austerità e privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (sanità in primis).

Quale migliore augurio per l’inizio del 2024 se non quello di acquisire una maggior consapevolezza in questo senso? È imprescindibile, infatti, arrivati a questo punto la messa in discussione di quei  “dogmi” dell’Unione Europea per poter fare una battaglia davvero efficace per salvare quello che sta più a cuore agli apuani e agli italiani: sanità pubblica e lavoro.

PS: Pensandoci meglio, non servono soltanto più consapevolezza e meno dogmi, ma anche più coraggio. Come disse la compianta Claudia Bienaimé all’ombra del Monoblocco la sera della grande manifestazione del 18 agosto 2023 per la difesa della sanità pubblica.