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La White Carrara 2023 tra sacro e profano: l’inaugurazione in piazza Gramsci, resterà in città fino a ottobre foto

L'assessore Gea Dazzi: «White Carrara2023, con le sue istallazioni diffuse, farà da cornice agli eventi della stagione estiva, portando maggior interesse per la città e la sua creatività»

CARRARA – L’appuntamento è per domani sera, 17 giugno alle ore 18:30 in piazza Gramsci: quando si accenderanno finalmente  i riflettori su una delle due manifestazioni più attese in città, la White Carrara023 che insieme a Convivere rappresenta il momento culturale più significativo di Carrara. Riflettori che quest’anno resteranno accesi per tutta l’estate fino al 1° ottobre. Una manifestazione a cui l’amministrazione non nasconde di tenere particolarmente: “E’ la nostra prima White” ricorda la prima cittadina in conferenza, non dimenticando di ringraziare tutta la squadra che ha contribuito e  parlando apertamente di sfida, non solo in riferimento ai tempi strettissimi  con cui ha visto la luce la kermesse e che la prima cittadina ha ricordato ma probabilmente riferendosi anche alle aspettative della città e al fatto che per il primo anno, dopo le edizioni curate dalla partecipata Imm, il festival è stato preso in carico direttamente dall’amministrazione. “Per noi era importante portare il marmo protagonista e il risultato è di grande armonia tra l’opera d’arte e il territorio, è un primo passo per il rilancio culturale della città”. Ma partiamo dalle parole del direttore artistico di questa edizione, Claudio Composti, con cui ha cercato di raccontare lo spirito della mostra diffusa e di smorzare le polemiche già serpeggianti in città dopo il posizionamento di alcune opere: “Spero che piaccia quantomeno lo sforzo per chi, se non capisse le scelte artistiche comunque possa aprirsi in uno spiraglio di interpretazione diversa. Che piaccia o non piaccia è un passo verso la mèta e che spero porterà grandi risultati”  si augura Composti che descrive il grande desiderio di rilanciare Carrara sotto il profilo culturale percepito in città,  da parte di tutte le maestranze che hanno partecipato alle realizzazioni delle opere assieme agli artisti e di chi ha aiutato ad allestire e a trasportare e a curare tutti gli aspetti pratici. “Abbiamo cercato di raccontare il percorso del blocco che nasce dalla montagna fino alle mani dello scultore – dice il direttore artistico -. Abbiamo cercato di raccontare la scultura a 360 gradi portando non solo marmo ma anche materiale diverso come cemento o quarzite: la sfida è stata anche questo, portare a Carrara, città della scultura che nasce dal marmo. Mi sento forte della qualità degli artisti che ho invitato”.

Veniamo subito a raccontare le tappe della White Carrara 23 nei suoi passaggi fondamentali, a partire dall’opera più importante della kermesse: “Folla grande” di Giò Pomodoro, del 1962 e proveniente da una collezione privata generosamente concessa in prestito. “E’ l’opera più importante di questo percorso, che abbiamo scelto di mettere proprio davanti all’Accademia e sotto la montagna delle cave- spiega Composti – perché volevo fare un collegamento tra  il marmo statuario dell’opera  e soprattutto collocandolo davanti all’Accademia lo volevo creare una relazione tra maestro e futuri scultori”. Una versione piccola è in vetrina presso l’info point in piazza Alberica.

Un tassello che colpisce in modo particolare è la mostra fotografica “Visione Plastiche” a Palazzo Binelli, dove la classicità delle forme scultoree più belle e famose assume contorni e volti nuovi, grazie all’obiettivo di artisti fotografi che riescono a trasformare la tridimensionalità della scultura in una bidimensionalità emozionale. Incontriamo Stefano Canto al piano terra del palazzo: la sua ricerca si chiama “Carie”, uno dei parassiti fungini che svuota i tronchi dei legni  morti, vuoti che lui riempie con cemento, per raccontare il concetto di morte, di rinascita e di costruzioni. Sullo stesso piano, ci sono i video e le foto di  Andrea Botto. “Lui da 15 anni lavora solo sulle esplosioni e sulle demolizioni controllate” spiega Claudio Composti facendo notare la foto che ritrae la demolizione controllata delle case popolari di Caina.

Al piano superiore il gioco di ombre e le strategie artistiche dei fotografi rendono al meglio le immagini dei corpi scolpiti nel classicismo. “Sono cinque stanze dedicate a ogni artista – illustra il direttore di White Carrara – sono opere che mostrano quanto degli artisti possano interpretare in una visione bidimensionale come la fotografia, la scultura che invece è tridimensionale. Dune Varela, artista francese, rappresenta questo perfetto punto di congiuntura tra gli scultori che vedrete in città, tridimensionali  e gli artisti che espongono a Palazzo Binelli in bidimensionalità fotografica. Il suo lavoro bellissimo è questa stampa fotografica di statue su blocchi di marmo. Per assurdo lei rappresenta questa cerniera dove c’è ritorno alla fisicità dell’immagine e all’ immagine della scultura”.

Altro artista in mostra è  Bruno Cattani con una serie di opere fotografiche intitolate Eros: di grande suggestione ripropone i corpi della scultura classica che diventano vivi grazie a un languido gioco di luci e ombre . “Eros si ispira al mondo classico partendo dalla Metamorfosi di Ovidio quando Pigmalione scolpì la statua che prese vita sotto le sue dita, da qui Cattani – spiega Composti – interpreta la plasticità della scultura. Cattani cattura in ogni singola immagine l’erotismo racchiuso in queste forme marmoree, nate dalle mani dello scultore ma alterate dal tempo che le ha rimodellate e levigate. Lo sguardo del fotografo che le rende  altro da sé, ci invita in un gioco voyeuristico. Rende gesti e corpi, immobili per loro natura, vividi e carnali grazie all’immaginazione di chi guarda e ai giochi di luce che l’autore suggerisce, in un susseguirsi di ombre che giocano con quelle forme che paiono vive”.

Particolari le fotografie di Giacomo Infantino, il quale aveva fatto una residenza d’artista fotografando tutte le cave semplicemente  illuminandole. “Non c’è  post produzione al computer  – fa notare Claudio Composti -ma c’è questa illuminazione studiata come un set: le cave, nel suo lavoro, diventano un set cinematografico dando vita a immagini anche spaventosi e spaventevoli. Gioca con le ombre, con la notte quindi gioca con il nostro subconscio lavorando su di esso, abitato dai nostri archetipi. Un che di magico assumono le immagini di Carolina Sandretto ha cercato di dare della scultura quella che viene tecnicamente definita  “ ‘aurea’ – illustra il direttore – l’invisibile, il valore invisibile intrinseco che fa dell’opera d’arte un’opera d’arte: dare visione di invisibile. L’artista ha fatto una doppia stampa: una su carta e una leggermente falsata su plexiglass della stessa statua creando così  una doppia esposizione quasi a volere dare fisicità a qualcosa di invisibile”.

Infine, l’ultima stanza è dedicata a Simon Roberts che chiude la mostra. “L’artista – riferisce il direttore artistico – ha fotografato le statue del Victoria e Albert Museum di Londra durante la pandemia, coperte dal cellofan per protezione. Immagini che richiamano a quanto abbiamo dovuto subire con distanza sociale,  emotiva e sentimentale: come le statue sono state protette anche noi abbiamo dovuto proteggerci e isolarci”.

Ai piedi del MudaC è stata collocata Hercules and Nessus, che potrebbe sintetizzare forse la polemica sorta in questi giorni a Carrara intorno a un’opera in particolare, esposta in Piazza Alberica. Scultura in marmo di Carrara scolpita da un braccio robotico guidato da algoritmi, l’opera si ispira alla tecnica michelangiolesca del “non finito”. “L’artista – continua a spiegare Claudio Composti che ha accompagnato gli artisti durante tutto il percorso della White Carrara – si chiama Quayola e la sua opera  è una citazione dell’ opera Ercole e il Centauro del Giambologna: una citazione classica con rilettura contemporanea, dove lascia questo abbozzo, non finito. E’ una evidente lettura quasi a pixel attraverso macchinario programmato con un algoritmo. Questa è la prima di una serie di questi “non finiti” che non si concentrano sula scultura finale ma sul procedimento di creazione attraverso l’algoritmo. Quindi mette in discussione il ruolo del scultore stesso che interviene solo alla fine per alcune definizioni ma toglie gran parte della manualità: entriamo in discussione, quella dell’arte concettuale: dove nasce l’opera d’arte? Nella mente dell’artista o nel fare l’opera? E quindi nel fare? Il realizzare ha meno valore rispetto al concetto o alla manualità dell’artigiana?”

Presso il MudaC è anche possibile vedere il video “Il capo” di Yuri Ancarani, un documentario in cui il capocava che attraverso segni e gestualità dialoga, nel silenzio della montagna, con il braccio della gru che estrae il blocco di marmo. L’obiettivo  si sofferma sul corpo abbronzato e gesticolante del cavatore, sulle sue mani tagliate e ruvide, sul volto scavato anch’esso dalle rughe, sullo sforzo del braccio meccanico e sul blocco che infine si stacca.

Colpisce l’attenzione l’opera in piazza del Duomo: “Mattia Bosco – lo racconta il direttore artistico – usa queste forme non-forme scegliendole dal ravaneto dove c’è lo scarto di marmo. In questo caso ha scelto queste tre presenze: fanno pensare ad archetipi, pensiamo agli stonehenge, alla stele che poi vedremo anche in piazza Alberica, in un’opera di Barnils. Abbiamo voluto posizionare queste figure a fianco al Duomo, un posto sacro di una bellezza incredibile. L’artista lascia grezzo quasi tutto  il blocco di marmo e in alcune parti interviene con forme geometriche, coprendole con foglie d’oro. Così in alcuni momenti quando il sole batte o addirittura alla sera si vede risplendere la preziosità dell’oro: un’alchimia ricorda qualcosa di mistico e di sacrale”.

In piazza De André White Carrara presenta l’opera ‘Legami’ dell’artista armeno Mikayel Ohanjanyan: “E’ un grande scultore che partecipa con un lavoro fatto apposto di quarzite molto duro da lavorare – spiega ancora Composti -. E’ stato  vincitore del Leone d’Oro alla biennale 2015 al padiglione Armeno. Il suo lavoro è sui legami: racconta la tensione tra i blocchi di quarzite separati dai blocchi di e ferro e i legami che cercano di tenere insieme qualcosa che invece tende a disgregarsi. Sembrano dei blocchi delle forme molto violente: in questo momento storico con le tensioni e le lotte anche interiori, nei legami, nei rapporti personali e sociali. Era la piazza De Andrè che poteva ospitare questa struttura in dialogo con il teatro Animosi, luogo di resistenza con la cultura, capace di creare un legame, una connessione sociale”.

Spiega l’artista che si sta trasferendo a Carrara”: “Grazie alla città che mi ha accolto: ho scelto la pietra di quarzite indiana, ma lavoro anche marmo e legno. Ero indeciso se usare il  marmo o questi blocchi, poi ho scelto la quarzite anche perché vengo da una città, che è gemellata con Carrara, la cui identità è legata alle pietre laviche. E’ dal 2020 che lavoro su tema dei legami: oggi è importante essere uniti nonostante le diversità, è un messaggio sociale che spero possa arrivare”.

Ma veniamo all’opera oggetto di polemiche e discussioni in questi giorni. In realtà sono due e appartengono all’artista Morgana Orsetta Ghini. La prima, in marmo araberscato, si trova in Piazza delle Erbe: “ L’opera è stata collocata qui non a caso perché – racconta Composti – Morgana lavora sempre sulle forme femminili del sesso femminili sempre rappresentandole con rimandi anche molto sacri, come battisteri, oppure conchiglie. Questa piazza è dedicata alle donne – continua a spiegare il direttore – che a Carrara hanno cacciato i tedeschi nel 44, mentre gli uomini erano in guerra. Morgana ha voluto omaggiare all’essere donna, che significa un mondo infinito di ruoli, di responsabilità, di forza, ha voluto omaggiare questa piazza”.  “E’ un altare di una chiesa – conferma Morgana – quasi come per santificare la vulva, in un contesto urbano per metterla in relazione con la vita normale e uscire dai luoghi sacri entrando in contatto con le persone. La vagina per me è simbolo di vita, di nascita, di speranza, di continuità della specie. Questo è il lavoro che c’è dietro alle mie forme – ha commentato quindi- benvenuto al dibattito quindi che è sempre un punto di incontro e di partenza”.

“Piazza Alberica è la piazza principale quindi era necessario avere sculture che fisicamente potessero coniugarsi con la classicità della piazza – introduce Claudio Composti – Michelangelo Galliani ha realizzato, con le tecniche tradizionali dello scultore e in marmo nero marquina ‘Lassù’, una mano con un dito indice che indica il cielo, nuovamente un segno mistico”. C’è poi la stele di Sergi Barnils. “Anche qua – riprende Composti – c’è l’elemento sacrale:  potrebbe risalire a 1000 anni fa come potrebbe essere stata fatta ieri, e c’è questa simbologia, una sorta di alfabeto della fantasia scolpito sopra  entrambe le facce”. C’è poi e infine la tanto discussa opera di Morgana, la vulva in pietra, che ha suscitato un vespaio di polemiche: “Questa è un’apertura sulla piazza – torna a spiegare Composti –  che guarda non solo alla classicità della Beatrice la quale si può scorgere attraverso l’opera tessa ma  che guarda alla montagna, madre da cui origina il marmo, il quale sappiamo mantiene la città da sempre: questa sorta di alimento materno passa attraverso la femminilità. Un’opera che ha il sapore di un portale sacro, quasi uno stargate”.

“Nei prossimi giorni inaugureranno altre 10 manifestazioni in città tra gli eventi collaterali e a Palazzo Cucchiari il 24 giugno apre una mostra sulla scultura del Novecento a Carrara” ricorda Cinzia Compalati dirigente Cultura e Turismo, la quale mostra anche la brochure predisposta e scaricabile dal sito della White Carrara dove appare la mappa delle case storiche degli scultori carraresi (www.whitecarrara.it): “Pensate: più del 30% della popolazione carrarese erano scultori” commenta.

Pienamente soddisfatta del nuovo volto della manifestazione è anche l’assessore alla Cultura Gea Dazzi: “White Carrara2023, con le sue istallazioni diffuse, farà da cornice agli eventi della stagione estiva, portando maggior interesse per la città e la sua creatività. Carrara è da sempre fucina d’arte e i carrarini sono orgogliosi di questo genius loci legato alla scultura e alla pietra scolpita che ci hanno reso e ci rendono grandi nel mondo”

La serata si concluderà, alle ore 21.30, con il concerto dei Cage con il loro rock progressivo romantico e semplice ( gruppo che nasce a Carrara tra le storiche band di rock prog del territorio italiano, con forti influenze da Genesis e Yes). In occasione dell’opening, Palazzo Binelli rimarrà aperto al pubblico fino alle ore 23.00. Sarà inoltre possibile accedere gratuitamente al mudaC.

L’edizione 2023 di White Carrara è organizzata dal Comune di Carrara, in collaborazione con IMM CarraraFiere e Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, con il patrocinio di Regione Toscana, il sostegno di Fondazione Marmo Onlus (main sponsor), la compartecipazione di Camera di Commercio della Toscana Nord-Ovest e il supporto dei partner tecnici Cave Michelangelo, Henraux S.p.A., Robotor, Successori Adolfo Corsi, E.R.P. Massa Carrara S.p.A. Prestatori: Cris Contini Contemporary, Galleria Materia, Gradina Gallery, MARCOROSSI artecontemporanea, mc2gallery, SECCI GALLERY. La direzione del progetto è affidata a Cinzia Compalati, direttore del settore Cultura e Turismo del Comune di Carrara.