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«Ecco come comunicare senza fare male». La lezione dei detenuti del carcere di Massa foto

Alla Casa di Reclusione di Massa si è celebrata la Festa della Toscana. La lotta alla civiltà prosegue oggi sui temi della violenza verbale e del linguaggio dell'odio

MASSA – «235 anni fa veniva abolita la pena di morte. Il granduca di Toscana Pietro Leopoldo l’associava a un popolo di barbari. All’epoca erano previste pene severe anche per reati non così gravi.  L’insulto, ad esempio, era punito severamente. Oggi invece si può insultare liberamente, c’è un anti-semitismo, un “anti-tutto”. E nessuno paga niente». Da un estremo all’altro, dall’assoluta barbaria all’eccessiva docilità: la professoressa Olga Raffo ha ben presente il percorso di lotta alla civiltà della Toscana. Ha tutte le date stampate in testa. Dal 1786, anno in cui il granduca Pietro Leopoldo firmò il provvedimento che segnò una svolta epocale, ad oggi, epoca in cui parte degli obiettivi di allora si sono persi di vista. In cui regna un altro tipo di violenza, che non è più quella associata alla tortura, ma che fa altrettanto rumore. E’ quella che si pratica con il linguaggio dell’odio, con le parole che escono dalla bocca senza essere pesate, e finiscono per far male. E’ su questi temi che si è celebrata, questa mattina, la Festa della Toscana all’interno della Casa di Reclusione di Massa, attraverso una seduta speciale del consiglio comunale che ha visto la presenza, tra gli altri, di alcuni ospiti della struttura. Tra questi c’è Andrea Mazzi, che all’interno del carcere ha frequentato un corso di comunicazione non violenta: «Quando durante una comunicazione abbiamo uno stimolo dobbiamo cercare di non esserne vittime. Si deve dare un un nome a quell’emozione, e capire cosa la suscita. E’ la pratica dell’auto-empatia, attraverso cui capiamo le nostre emozioni. Il passo successivo è l’empatia, che ci permette di capire cosa induce l’altro a darci certe risposte. Attraverso l’espressione onesta cerchiamo di comunicare all’altro nel modo giusto, senza offenderlo. Questo è il modo per comunicare abbattendo i conflitti».

«In carcere la comunicazione è di fondamentale importanza per una pacifica convivenza – ha aggiunto un altro ospite, Massimo Donatini -: il concetto è: “io ti aiuto nel capire i tuoi problemi, e tu inconsapevolmente aiuti me a stare meglio, e a capire i miei. E’ sempre un dare e ricevere. Qui dentro ho imparato molto ad ascoltare a saper discernere, a saper scegliere, e a guardare nel mio io interiore. Ho riflettuto molto sulla rabbia: siamo solo noi che decidiamo di arrabbiarci, non è l’altro che ci fa arrabbiare. Nel dialogo non esiste uno sconfitto o un vincitore, non c’è mai un sottomesso. Ma un contatto prima con se stessi e poi con l’altro».

Ed anche l’istituto Barsanti, scuola presente all’interno della casa di Reclusione, ha portato il proprio contributo attraverso un lavoro dal titolo “Le parole possono essere finestre o muri” curato dalla professoressa Ilaria Ciuffi. A riportarne un estratto è stato uno Mirco, studente della quinta superiore: «Le parole d’odio sono tutto ciò che può ferire una persona in base a etnia genere, difetti fisici e disabilità, ma anche al credo religioso o all’orientamento sessuale e politico. E’ un fenomeno talmente vasto che riguarda tutti gli aspetti della vita. C’è molto pregiudizio e paura della diversità, oggi, senza pensare che questi possono diventare l’anticamera della discriminazione e della violenza».