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Un uso "nobile" per il legno dei pini di viale Colombo

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Non è assolutamente vero che un albero possa essere brutto e inutile: un albero è sempre bello e soprattutto utile, e non mi dilungo in spiegazioni in merito all’estetica e all’utilità perché sono facilmente reperibili in rete. E attenzione: la bellezza non è qualcosa riconducibile a un banale quanto diffuso “mi piace/non mi piace” che chiunque può mettere con un clic.

L’albero è una forma di vita, è tra gli esseri viventi più antichi del pianeta, costituisce un’immagine universale e archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme. Quando si va a intervenire sulla vita degli esseri viventi bisognerebbe quindi aver ben chiaro i piani e i valori sui quali ci si muove.

Tagliare, quindi abbattere, quindi porre fine alla forma di vita presente di un albero è sicuramente un’operazione lecita se resa necessaria da motivazioni di sicurezza ed economiche, purché lo si faccia con il dovuto rispetto e la dovuta profondità che ogni forma di vita merita.

Ecco perché la maggior parte dei commenti letti in merito all’intervento sui pini di viale Colombo a Marina di Carrara, da una parte e dall’altra – eh sì perché anche sulla vita ci sono le fazioni opposte – risultano stucchevoli e per certi versi avvilenti. Commenti che ti fanno perdere in parte la fiducia in un futuro migliore nel quale una figlia o un figlio possano vivere felici e che a volte ti fanno davvero temere per la prima estinzione di una specie dovuta alla specie stessa, quella umana.

Alcune religioni, ma anche la natura e la chimica stessa ci insegnano che la vita in realtà non muore mai, ma si trasforma in altre forme. Lavoisier insegna: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma».

Ecco allora che la cosa più intelligente e profonda mi trovo a doverla scrivere per l’ennesima volta io – e scusatemi l’umiltà –  e mi scusi anche chi l’ha già pensata, detta o scritta. Appurato che sono stati fatti tutti gli approfondimenti amministrativi del caso, appurato che non si sia trovata una soluzione economicamente più vantaggiosa, appurato che non è vero che sono specie endemica di Marina di Carrara e che sono stati stoltamente piantati negli anni 50 circa, appurato che tutti i discorsi sul paesaggio, sul fatto che non servano a niente, che siano solo pericolosi e inutili, almeno in questo caso sono ‘bischerate’, non bastava forse immaginare per il legno così ricavato un uso “nobile”?

Ad esempio utilizzarlo per costruire panchine da mettere in punti strategici nel Parco delle Alpi Apuane? oppure organizzare un simposio di scultura in legno che gli avrebbe donato o donerebbe una nuova vita? una vita in una forma diversa? Se il principio è valido per il marmo che viene strappato alla montagna – che neanche respira a differenza delle piante – per trasformarsi in sublimi opere d’arte, se l’arte è in grado di donare nuova vita o vita a cose che non l’hanno mai avuta forse non avrebbe potuto farlo anche in questo caso?

A Carrara, là dove il marmo prende forma dentro lo spettacolo, si parla molto spesso di riuso e di economia circolare. Sono princìpi validi solo per le terre al monte e la marmettola? Secondo me no.

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