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La Provincia di Massa-Carrara e l’insana scelta di ricorrere ai "compro oro"

di Matteo Bernabè *

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    Con l’inizio della crisi economica, ormai dieci anni fa, abbiamo visto spuntare come funghi in tutte le città i cosiddetti “compro oro”, dove i cittadini in difficoltà portano a svendere i propri oggetti preziosi. La stessa cosa è stata applicata a livello amministrativo e politico. Infatti, da alcuni anni tra i politici di destra, di centro e di sinistra si è fatta sempre più strada l’idea che sia cosa-buona-e-giusta-nostro-dovere-e-fonte-di-salvezza “fare cassa” attraverso la vendita – forse meglio dire la svendita – del patrimonio pubblico.

    La Provincia di Massa-Carrara, per esempio, non ha perso l’occasione: è notizia di questi giorni che Palazzo Ducale ha messo all’asta 13 immobili di sua proprietà tra Massa, Carrara e Lunigiana per cercare di recuperare 4 milioni di euro. C’è anche da dire, però, che non tutte le amministrazioni locali sono così favorevoli a questo tipo di politiche. Infatti, in qualche modo, gli enti vengono costretti a operare così dalle politiche fiscali del governo centrale. Da Massa, infatti, il bilancio 2018 prevede l’invio a Roma di oltre 8 milioni di euro. Un vero e proprio “prelievo forzoso” ai danni dell’amministrazione provinciale (e quindi dei cittadini, per esempio, che viaggiano sulle molte strade e i molti ponti di competenza provinciale).

    I vincoli europei al bilancio pubblico a cui è sottoposto il governo centrale, attraverso – sia chiaro – decisioni politiche dei vari governi che si sono succeduti e hanno accettato quei vincoli, costringono gli stessi governi a tagliare la spesa e gli investimenti e aumentare le tasse, non solo ai cittadini ma anche agli enti locali (vedi il salasso di cui sopra), il che in un periodo di crisi economica – sono 14mila i disoccupati apuani – non rappresenta la soluzione, bensì la medicina sbagliata per aggravare ancor di più le condizioni del paziente morente.

    Detto questo, sono principalmente tre le cose da mettere in evidenza:

    La prima è che, una volta venduti, quegli immobili pubblici, che potevano rappresentare una risorsa materiale importante per i cittadini, dopo la (s)vendita non saranno più nella disponibilità della collettività.

    La seconda: a differenza di una risorsa materiale che dura nel tempo, anche nella migliore delle ipotesi in cui la Provincia riuscisse a incassare oltre 4 milioni di euro, dopo poco, quelle risorse finanziarie non esisterebbero più e il prossimo anno il problema si ripresenterebbe. Sarebbe stato molto meglio che il governo lasciasse quegli 8 milioni nelle casse provinciali, in modo che Palazzo Ducale non fosse costretto a (s)svendere i propri “gioielli”.

    La terza e ultima è che, ricorrendo al parere di esperti che hanno studiato e scritto delle cosiddette “privatizzazioni”, risulta chiaro come queste politiche abbiano, appunto, un impatto positivo nel breve periodo senza incidere sulla crescita dell’economia e quindi sul benessere della collettività. Il primo che voglio citare è il direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi il quale ha affermato: «Se sul piano finanziario le privatizzazioni si possono considerare un indubbio successo [e`] meno chiaro l’impatto che esse hanno avuto sul potenziale di crescita dell’economia italiana». Il secondo è degli economisti Fabio Gobbo e Cesare Pozzi: «Le imprese cedute dallo Stato si sono concentrate su attivita` remunerative e con ritorni di breve periodo, generando una situazione di ritardo che […] rischia di compromettere seriamente la competitivita` del sistema Paese e le sue potenzialita` di sviluppo [onde] verrebbe da dire che le privatizzazioni, per quanto abbiano sicuramente aumentato le dimensioni del mercato, non sono riuscite […] a tradursi in un autentico beneficio per la collettività».

    Per concludere, quanto detto sopra significa calare nella realtà quel dibattito spesso poco affascinante delle politiche fiscali, che oggi rappresentano il problema dell’economia ma che potrebbero delineare la risoluzione di quel problema. Attraverso il taglio delle tasse e l’aumento della spesa e degli investimenti pubblici, infatti, il governo potrebbe dare all’economia l’ossigeno che le serve per ridurre la disoccupazione, il vero problema della nostra economia nazionale e provinciale.

    Ricorrere ai “compro oro” non è una scelta “sana” né per un cittadino, né per un ente pubblico. Soprattutto se questa scelta viene orientata totalmente da ragioni finanziarie.

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