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Biodigestore, i comitati rispondono al Cermec: «Più inquinamento che risparmi»

Continua il botta e risposta sul progetto. La lettera aperta che discute dal rischio esplosione all'aspetto delle emissioni e degli eventuali risparmi

MASSA-CARRARA – Il progetto del nuovo biodigestore che verrà costruito nell’impianto del Cermec continua a far discutere e a dividere. Qualche settimana fa, il Cca dbr (Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni per la depurazione, le bonifiche e la ripubblcizzazione del servizio idrico) aveva avanzato delle critiche a cui aveva fatto seguito una lettera del Cermec. Ma la battaglia non è ancora finita, anzi. Il Cca dbr è tornato a scrivere ai vertici di Cermec e alle istituzioni locali, rispondendo proprio alla lettera. «Al di là delle risposte fornite ai comitati, il fatto che un progetto come quello del biodigestore previsto per la provincia di Massa-Carrara non sia andato a V.i.a. ordinaria, già di per sé non depone a favore di una procedura decisionale trasparente e completa sotto il profilo di poter valutare non solo i singoli impatti dell’impianto – scrivono dal Cca dbr – (quelli potrebbero anche essere esaminati in sede di Aia), ma la compatibilità dell’impianto nel suo complesso con il sito. Rimuovere questo aspetto è pregiudiziale a qualsiasi giudizio favorevole o meno al progetto perché fondato già da ora su una procedura illegittima».

«Infatti il progetto rientrerebbe in quella di verifica di assoggettabilità in quanto modifica dell’impianto esistente ma le dimensioni, in termini di quantità di rifiuti da gestire, rendono immediatamente applicabile la V.i.a. ordinaria sulla base della lettera ag) allegato III alla Parte II del DLgs 152/2006: “Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato” da cui la applicazione della lettera n) del allegato III alla Parte II del DLgs 152/2006. – continuano i comitati – “Peraltro – come ci ha spiegato il Giurista ambientale avv. Marco Grondacci – tutti i progetti di biodigestori delle dimensioni di quello in esame hanno avuto la VIA ordinaria. Il tutto a prescindere poi da una analisi specifica dei criteri per stabilire la applicabilità della VIA ai sensi dell’allegato V parte II DLgs 152/2006”».

Il Cca dar, poi, si sofferma su un punto molto delicato: il rischio di esplosione del biodigestore. «L’impianto di biogas è un luogo di lavoro a rischio esplosione, in quanto caratterizzato da emissioni di gas, vapori, nebbie infiammabili in miscela con l’aria (atmosfere esplosive). L’insieme dei parametri che regolamentano tale rischio specifico è contenuto all’interno della normativa Atex (dalle parole ATmosphères ed EXplosibles), che riunisce due direttive: la 94/9/CE, per la regolamentazione di apparecchiature destinate all’impiego in zone a rischio di esplosione. Si rivolge ai costruttori di attrezzature destinate all’impiego in aree con atmosfere potenzialmente esplosive e si manifesta con l’obbligo di certificazione di questi prodotti; – spiegano – la 99/92/CE, per la sicurezza e la salute dei lavoratori in atmosfere esplosive. Si applica negli ambienti a rischio di esplosione, dove impianti ed attrezzature certificate sono messe in esercizio, ed è quindi rivolta agli utilizzatori. Le esperienze sulla analisi del rischio esplosione di questi impianti hanno evidenziato varie problematiche sulla criticità del rischio esplosione. Ad esempio, all’interno del progetto Interreg Italia-Austria IV “SmartEnergy network of excellence” uno studio su impianti di produzione di biogas nel Friuli ha evidenziato che, se da un lato gli aspetti relativi alla documentazione tecnica rilasciata dal costruttore siano generalmente conformi, diversi invece sono risultati i punti critici relativi alla gestione aziendale della sicurezza: le procedure operative e di valutazione del rischio hanno registrato dei livelli di criticità elevata».

«In particolare, anche per gli impianti con l’unica finalità di produzione e utilizzo di biogas per la generazione elettrica la criticità che emerge è la valutazione del rischio interferenza, che normalmente viene gestita in modo approssimativo, sia per le manutenzioni di ditte ed aziende esterne che per le aziende agricole e di contoterzisti che conferiscono all’interno dell’impianto. – continuano – Sotto questo profilo la Regione Lombardia, proprio a conferma della rilevanza di questa criticità, ha approvato delle linee guida per la gestione in sicurezza degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili mediante digestione anaerobica di substrati a matrice organica: Decreto n. 6463 del 4/7/14. Tali linee guida nascono dalla necessità espressa dai Servizi di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro (Psal) delle Asl, di avere un quadro armonico di riferimento per le attività di vigilanza relativamente alle fasi di autorizzazione, costruzione, gestione ordinaria e straordinaria e dismissione di impianti per la produzione di energia elettrica da biogas. Nelle linee guida per ciascuna fase si elencano i documenti di interesse ed il soggetto responsabile per la redazione».

Sotto esame, poi, finiscono anche le eventuali emissioni che l’impianto provocherebbe: «Il biogas è più inquinante del metano perché il contenuto di metano è soltanto del 55-60%).  I microrganismi patogeni si possono produrre nel ciclo di trasformazione del rifiuto organico in biogas e poi in biometano quindi non solo legate al digestato poi ritrattato, secondo Cermec, nella linea aerobica, e comunque la contaminazione è già all’ingresso del ciclo produttivo nella Forsu. – sostiene il Cca dbr – Altre emissioni possono provenire dalla necessità di bruciare il biogas prodotto dalla fermentazione del rifiuto organico per poi successivamente produrre il biometano che resta più inquinante del metano tradizionale semplicemente perché contiene meno metano. Il biogas infatti, nel suo stadio precedente alla trasformazione in biometano, contiene acido solfidrico, idrogeno, ossigeno, azoto, ammoniaca, silossani, Cov e particolato».

«Risparmi? Tutto da dimostrare in realtà questi impianti senza gli incentivi pubblici per il biometano non reggono, non a caso questo progetto del Cermec, nonostante i milioni di euro del biometano e i soldi pagati per lo smaltimento dell’organico, era stato presentato per ottenere 40 milioni di euro ulteriori dal Pnrr. Rifiuti solo dell’Ato nel biodigestore? Anche questo tutto da vedere. Al di là della questione del rapporto con ReteAmbiente srl ancora non definito, come risulta anche dai mass media locali e sul quale i costi di bonifica del sito previsto potranno pesare e molto, resta il fatto che i rifiuti da raccolta differenziata come il rifiuto organico sono a libero mercato e nulla garantisce che una parte dei rifiuti nell’Ato possano finire ad altri impianti ma anche viceversa come è avvenuto ad esempio al biodigestore di Cairo Montenotte (Sv) che riceve rifiuti anche dal Piemonte per poter garantire la copertura dei costi di gestione di un impianto da circa 100.000 ton/anno», si chiude la lettera.