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Polemica via delle Tortore, Ferri (Iv) risponde a Persiani: «Alla ricerca di risposte politiche»

MASSA – «Ho letto larticolo del Sindaco Persiani, che ringrazio per l’attenzione. Con spirito costruttivo, nell’intento di fornire risposte concrete a queste famiglie, in un periodo storico così difficile a causa della pandemia, mi preme rilevare ed esporre quanto segue». L’Onorevole di Italia Viva, Cosimo Maria Ferri, risponde al sindaco di Massa Francesco Persiani dopo le polemiche sull’emergenza abitativa nella città apuana e la struttura di via delle Tortore.

«È vero che l’attuale giunta ha ereditato questa soluzione abitativa emergenziale, ma, ora che governa la città, a maggior ragione  in una fase di emergenza pandemica, non può tollerare ulteriormente che queste famiglie continuino a vivere in condizioni igienico-sanitarie oltremodo precarie. – scrive Ferri – Intendo rimarcare il carattere particolarmente disagiato del contesto, sol che si consideri che siamo in presenza di cinque nuclei familiari, composti anche da soggetti minori (per un totale di 18 persone), i quali si vedono costretti a vivere in cinque stanze, a condividere i servizi igienici e a dover fare fronte quotidianamente a umidità, scarafaggi (caso strano solo in questi giorni sono intervenuti mettendo gel e trappole) e topi che girano per il cortile (si spera in un rapido intervento di derattizzazione). È evidente tale situazione sia oggettivamente disumana e inaccettabile; è, dunque, dovere degli attuali amministratori locali intervenire per risolvere il problema».

«Ciò posto, – continua Ferri – si impongono alcune riflessioni circa il merito della delibera, finalizzate a stimolare le Amministrazioni a tenere conto nelle proprie delibere della concretezza delle situazioni su cui incidono, onde approntare risposte efficaci e idonee a far fronte alle esigenze dei cittadini. In particolare, la delibera pone a carico degli ospiti “la pulizia dei locali in uso, incluso il cambio della biancheria e la pulizia degli spazi esterni”; al contempo, prevede che “gli ospiti saranno inoltre responsabili della corretta conservazione dei locali, degli arredi ed elettrodomestici messi a disposizione dal Comune”. Si ponga mente al tenore anche alla regola “Gli ospiti non potranno cucinare e consumare pasti all’interno delle camere prive di angolo cottura”. Tale previsione acclara che i cinque nuclei familiari, che soggiornano nella residenza sociale, vivono effettivamente in stanze prive di servizi igienici e di angolo cottura. Cosa prevede il regolamento? Mi sembra che sia necessaria ed urgente una soluzione concreta ed effettiva».

«Vorrei, inoltre, soffermarmi su alcuni profili affrontati nella risposta del Sindaco Persiani: “ma l’amministrazione ha anche provveduto a fornire i piani cottura”. Sia consentito rilevare la genericità dell’affermazione, non risultando comprensibile a quale “amministrazione” si sia fatto riferimento. Peraltro, alcuni cittadini mi hanno riferito che i fornelli sono sempre stati presenti all’interno delle stanze, in quanto forniti dalla precedente Amministrazione, e che, in seguito, sono stati sostituiti in autonomia dai medesimi. “E si ricorda che nel periodo di lockdown sono stati consegnati alle famiglie in emergenza abitativa migliaia di pasti caldi, spese e generi alimentari, igienizzanti e dispositivi di protezione.”. Sul punto rilevo che, relativamente alla residenza sociale di via delle Tortore, con riferimento al mese di marzo 2020, a quanto mi consta: riguardo ai pasti caldi, è stata realizzata la fornitura di un pasto al giorno a giorni alterni e ciò principalmente per merito di una spontanea iniziativa solidaristica di un ristoratore); non risulta siano state affrontate spese e forniti generi alimentari; non risulta siano stati forniti igienizzanti; riguardo ai dispositivi di protezione, risulta che sia stato fornito un numero ridotto di mascherine, insufficienti per il numero di persone presenti. Come se non bastasse, La informo che, durante la prima ondata della pandemia, non sono mai state fornite adeguate informazioni sulle precauzioni e sull’eventuale protocollo da seguire; ad esempio, quando un ospite, che presentava sintomi da contagio da sars-cov-2, è stato ricoverato in ospedale, nessuno si è presentato e, di conseguenza, per alcuni giorni si è avuta molta preoccupazione.
“Per quanto riguarda la compartecipazione, chiariamo che è sempre stata richiesta dalle precedenti amministrazioni, ma ora si è stabilito un tetto massimo del 10%”. Si fa esplicito riferimento solo ad un tetto massimo, ma non si chiarisce se sia previsto altresì un tetto minimo. Sennonché tale determinazione si rivela contraddittoria con il tenore della disciplina prevista sotto la voce “Compartecipazione”: “Sia in caso di inserimento in struttura di proprietà comunale che in caso di inserimento in struttura alberghiera dovrà essere prevista, per gli ospiti titolari di reddito, a qualsiasi titolo percepito, la compartecipazione al costo del servizio nella misura del 10% del reddito percepito.”. Da ciò si desume che, in realtà, non esista né un tetto minimo né un tetto massimo, bensì una compartecipazione nella misura fissa del 10%. Ebbene, si appalesa manifestamente irragionevole pretendere una compartecipazione del 10% a carico dei suindicati cinque nuclei familiari che, come si è detto, sono costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie oltremodo precarie, nella stessa identica misura cui sono tenuti i restanti tre nuclei familiari, che si trovano nella stessa struttura, i quali, tuttavia, vivono in tre monolocali dotati di zona cottura, bagno in camera, lavello e contatore autonomo. Non paiono necessarie ulteriori argomentazioni onde avvedersi della evidente violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, nella misura in cui risultano soggette ad un medesimo regime giuridico situazioni di fatto differenti. Al contrario si sarebbe dovuta modulare la misura percentuale della compartecipazione in ragione della peculiarità della situazione familiare e delle caratteristiche del locale assegnato. Tanto premesso, alcuni interrogativi meritano una puntuale risposta. Non crede che pretendere il 10% nei confronti di chi, ad esempio, percepisce un importo  minimo del reddito di cittadinanza, mette in evidente difficolt・ le famiglie? Ancora, è compatibile il versamento di tale contributo con le spese consentite in capo a chi percepisce il reddito di cittadinanza? Non sarebbe più opportuno stipulare un contratto di locazione, al fine di permettere ai soggetti beneficiari del reddito di cittadinanza di usufruire di un importo aggiuntivo per il pagamento del canone, senza vedersi costretti a privarsi di una parte del sussidio? “[…] che non riguarda affatto il pagamento del canone di locazione, ma le spese generali”. Per spese generali si intendono anche i lavori, appaltati nell’anno 2019, per un totale di 40.000 euro (Risorse messe a disposizione dalla Regione Toscana)? Che, allo stato, considerate le condizioni effettive in cui versa la struttura, restano un mistero, tanto è vero che, in merito, è stata depositata una apposita interpellanza urgente ad iniziativa della Consigliera Comunale Dina Dell’Ertole. “L’impegno dell’amministrazione è sempre stato trovare soluzioni per i più fragili e migliorare le politiche abitative senza mai allontanare nessuno, neppure allo scadere dei scadere dei termini dell’emergenza abitativa senza soluzioni alternative”. Tale affermazione risulta letteralmente contraddetta dalla seguente previsione contenuta nell’allegato della delibera G.M. 6/2021: “Si ritiene che la permanenza nella struttura non debba superare di norma i 12 mesi. È ammessa la proroga per una sola volta e per ulteriori 12 mesi, esclusivamente a condizione che questo periodo sia necessario alla risoluzione definitiva del problema alloggiativo.”. A tale stregua, è corretto affermare che vige un periodo di tempo massimo di due anni decorso il quale, come riportato anche sulla stampa locale, gli “ospiti” saranno allontanati dalla struttura?».

«Infine, merita soffermare l’attenzione su un ulteriore aspetto, non meno rilevante. È noto che, in determinate situazioni, l’ordinamento anagrafico riconosce il diritto alla residenza provvisoria: ciò si verifica, ad esempio, con riferimento alle persone detenute, i quali, al ricorrere di determinati presupposti (ad esempio, con sentenza di primo grado ancora appellabile), possono conseguire la residenza provvisoria in carcere. Tuttavia ai citati nuclei familiari è stata negata la residenza provvisoria presso la residenza sociale, con ciò producendosi ulteriori criticità a carico di persone che mai avrebbero voluto trovarsi in questa situazione; questo ulteriore “diniego”, se consideriamo che, in assenza di una residenza, si rientra nello statuto anagrafico dei soggetti senza fissa dimora, causa non pochi problemi, sia sul piano sociale sia nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.  La posizione del Comune di Massa – secondo cui presso la residenza sociale è possibile eleggere solo il domicilio – non è giuridicamente corretta, posto che la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale e, poiché i suindicati nuclei familiari dimorano abitualmente presso la Residenza comunale, è evidente che essi vantino il diritto soggettivo di ottenere ivi la residenza. Appare, dunque, del tutto inappropriata la mera “concessione” dell’elezione di domicilio posto che, come noto, il concetto di domicilio esprime solo il luogo in cui un soggetto stabilisce la sede principale dei propri affari o interessi economici. In conclusione, – dice Ferri – auspico che questo mio intervento possa stimolare l’Amministrazione ad individuare una soluzione ragionevole, equa e dignitosa per le persone interessate, in modo da fare sì che la locuzione “Comune di Massa – Residenza Sociale” si riveli, non solo e non tanto una pura e semplice insegna, quanto piuttosto un luogo di accoglienza umano e decoroso».