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Noa, l’infermiera Bigini: "Per il soccorso cave mezzi piccoli e salari inadeguati"

La collega Micheli: "Lavoriamo 12 ore in auto medica, spese a carico nostro"

Martedì alla festa della Cgil a Ca’ Michele si è parlato di sanità, dando voce a figure in prima linea nei presidi delle nostre strutture. Come Federica Bigini, infermiera, impiegata al Noa nel dipartimento di emergenza-urgenza. “Il mio lavoro si svolge in due momenti distinti: quindici giorni al soccorso cave e quindici al pronto soccorso, per mantenere la professionalità tecnica che il mio lavoro richiede”.

Il soccorso cave è un servizio di primo soccorso che viene prestato in caso di incidenti o infortuni che avvengono nei bacini marmiferi. È unico nel suo genere per la specificità del territorio carrarese che comprende oltre 200 cave e circa mille addetti ai lavori.”Noi infermieri al soccorso cave collaboriamo con soccorritori di primo livello o medici – ha proseguito Biagini – a seconda delle postazioni che occupiamo, distribuite a partitre dall’estremo ovest di Carrara fino all’est di Massa. Veniamo chiamati in base alle emergenze che si dirigono dalla centrale e guidiamo il mezzo 4×4 nelle strade di arroccamento per raggiungere il sito dell’incidente. Abbiamo un carico di responsabilità importante che richiede competenze avanzate importanti”.

Purtroppo un servizio così avanzato non è così ben attrezzato come ci si aspetterebbe. “Le criticità sono le seguenti – ha spiegato Biagini – i mezzi che abbiamo sono validi ma piccoli, poco agevoli, abbiamo una capacità di azione all’interno veramente risicata. Bisognerebbe fare qualcosa a riguardo. Un altro problema è la viabilità: le strade si modificano continuamente ,in modo fisiologico, e noi dobbiamo essere continuamente aggiornati; inoltre, alcune strade di arroccamento sono sterrate e tenute male. Così aumentano i rischi e si allungano i tempi. Il gruppo del soccorso cave è costituito da 15 infermieri molto affiatati, tra cui 6 donne”.

Per quanto riguarda, invece, il pronto soccorso del Noa, l’infermiera ha illustrato un procedimento recentemente introdotto, il “see and treat”: “significa “guardo e tratto”, e consente all’infermiere prende in carico i pazienti che presentano problematiche minori e di trattarli direttamente senza l’ausilio del medico, che funge solo da supervisore. Questo progetto produce un abbattimento drastico dell’attesa, senza inficiare la qualità dell’assistenza erogata perché abbiamo fatto un corso altamente professionalizzante”.

Un’eccellenza, insomma, che non ottiene i dovuti riconoscimenti: “La maggior parte di noi infermieri sì è formata nelle scuole regionali; ci siamo evoluti anche grazie a una forte motivazione che ci ha spinti a formarci: molti di noi sono in possesso di master, lauree magistrali, insomma abbiamo alle spalle un iter compiuto di nostra iniziativa e a nostre spese, mai riconosciuto a livello aziendale. Si pensi che l’indennità di area critica è ferma a 4 euro e non è mai stata rivalutata da vent’anni”.

Maria Rita Micheli, anche lei infermiera al Noa, ha parlato a sua volta di un nuovo presidio: “È da un mese che abbiamo messo in opera un progetto di emergenza territoriale avanzata: l’auto medica, guidata da un infermiere e dotata di presidi medici avanzati, che arriva in concomitanza con l’ambulanza. È un servizio già esistente da tempo in Italia, ma inedito al Noa. Siamo cresciuti professionalmente, ma non a livello salariale: si pensi che guidiamo un mezzo, dobbiamo assicurarci e non abbiamo indennità. Lavoriamo 12 ore al giorno e dobbiamo provvedere personalmente ai pasti”.