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«Nel nuovo Regolamento di Carrara tanti premi alle cave e poca occupazione»

Legambiente interviene nel dibattito sulla nuova normativa: «Il faro da seguire? L'interesse della comunità»

«Tanti premi alle cave ma poca occupazione». È questo, in estrema sintesi, il commento di Legambiente Carrara al nuovo regolamento degli agri marmiferi proposto dell’amministrazione comunale di Carrara. Riportiamo di seguito l’intervento integrale dell’associazione ambientalista.

Come valutare la politica sul marmo? Semplice: dagli interessi dei carraresi
Il 2019 è stato un anno cruciale per il marmo: è stata aggiornala la LR 35/15 sulle cave, sono stati adottati i piani attuativi dei bacini estrattivi (PABE), è stato approvato il piano regionale cave (PRC) ed è prossimo all’approvazione il nuovo Regolamento degli agri marmiferi (RAM). È quindi possibile esprimere una valutazione complessiva della politica comunale sul marmo. Non è un’operazione particolarmente difficile se teniamo presente che è dovere dell’amministrazione comunale disciplinare l’estrazione del marmo tenendo sempre come stella polare gli interessi fondamentali della comunità carrarese. L’amministrazione deve dunque chiedersi: cosa si aspettano i carraresi dal marmo? La risposta è ovvia: dal punto di vista sociale, il massimo livello possibile di occupazione; da quello ambientale, la massima riduzione dei danni (marmettola nei fiumi e nelle sorgenti, rischio alluvionale, eccessiva produzione di detriti); da quello economico, il massimo delle entrate comunali. Valuteremo dunque il Regolamento attenendoci a questi semplici principi di buonsenso, purtroppo largamente disattesi. Nel presente documento affronteremo le sole ricadute occupazionali, riservando a prossimi articoli gli altri aspetti.

Occupazione: lavorare in loco i blocchi, ridurne l’export
Va tenuto conto che l’occupazione in cava è solo una piccola parte di quella del comparto marmo e del suo indotto. Dalle stime riportate nel rapporto IRTA 2019, infatti, si ricava che ogni cavatore genera da 3,4 a 11,5 occupati nella filiera del marmo (Tab. 1 – nell’immagine allegata). Adottando i dati dello studio IRTA 2019 (lo studio più recente e più prudenziale), ogni cavato-re genererebbe 3,4 occupati nella filiera diretta (estrazione, lavorazione e commercio), senza cioè considerare le attività indirette (trasporti, fabbricazione e commercio di macchinari e utensili) e quelle indotte (i servizi al settore lapideo). Anche con questa stima prudenziale, è evidente che solo il 23% dell’occupazione è legato all’estrazione del marmo, mentre il 77% deriva dalla sua filiera: per gli attuali 615 cavatori di Carrara avremmo dunque 2.097 occupati nella filiera diretta (totale 2.712). Va tuttavia considerato che i 2.097 occupati nella filiera sono il risultato della lavorazione in loco di meno della metà dei blocchi estratti, visto che oltre la metà viene esportata. Assumendo un rapporto attuale del 40% di blocchi lavorati in loco e 60% esportati, se ne ricava che, lavorando in loco il 100% dei blocchi, l’occupazione nella filiera passerebbe da 2.097 a 5.242 e quella totale sarebbe più che raddoppiata (da 2.712 a 5.857).
La Tab. 2 (nell’immagine allegata) mostra la stima dei livelli occupazionali che si otterrebbero per diverse percentuali di lavorazione dei blocchi nella filiera diretta, a parità di produzione e di occupati nell’estrazione. Se poi volessimo applicare a Carrara la stima del rapporto Confindustria Verona 2016 di 9,44 occupati nell’intera filiera (attività dirette + indirette + indotte) per ogni occupato nell’estrazione, otterremmo le stime dell’occupazione secondo le percentuali dei blocchi estratti mostrate nella Tab. 3 (nell’immagine allegata): passando dal 40% al 100% di lavorazione in loco, l’occupazione totale schizzerebbe a 15.126. Nonostante l’opinabilità di quest’ultima stima, resta assodato un dato eclatante: la misura principe per incrementare in modo consistente l’occupazione legata al marmo sta nella lavorazione in loco, riducendo l’esportazione dei blocchi tendenzialmente a zero. La battaglia per l’occupazione va dunque condotta anche sul piano culturale. L’imprenditore che esporta i blocchi, oggi ancora considerato da molti come uno che, comunque, dà il suo contributo all’occupazione locale, dovrà ricevere una netta riprovazione sociale poiché si arricchisce sfruttando la risorsa dei carraresi, lasciando ad essi ben poca occupazione e molto danno ambientale: un inammissibile comportamento predatorio.

Prima della gara: premi alle cave esistenti che incrementano la filiera locale
L’importanza occupazionale della lavorazione nella filiera locale è talmente evidente che la bozza di Regolamento, all’art. 21, riprendendo e dettagliando meglio le disposizioni della LR 35/15, premia in maniera considerevole (esonerandole dalla gara pubblica e prorogandone l’autorizzazione fino a 25 anni) le cave esistenti che firmino una convenzione con l’impegno a lavorare in loco percentuali elevate di blocchi (Tab. 4, nell’immagine allegata).
Sia chiaro: il dispositivo previsto allontana di molti anni l’espletamento della gara pubblica per il rilascio delle concessioni che consentirebbe di scegliere la miglior offerta (anche occupazionale e ambientale), a vantaggio della comunità. Favorisce quindi la rendita di posizione degli attuali titolari di cava che, in questo modo, possono tenersi la cava ancora per molti anni, evitando la gara pubblica e il conseguente rischio di perderla.
Può essere tuttavia ritenuto un compromesso accettabile poiché, come contropartita, si otterrebbe a breve termine un aumento della percentuale di blocchi lavorati in loco e un corrispondente aumento dell’occupazione. Suggeriamo tuttavia una più articolata corrispondenza tra lavorazione in loco e durata della proroga, che conceda il massimo premio solo a chi lavori in filiera il 100% dei blocchi: la nostra proposta è riassunta nella Tab. 5.

Altri premi per le cave esistenti. Criteri fumosi: addio all’occupazione?
L’art. 21 del Regolamento prevede proroghe senza gara dell’autorizzazione non solo per le cave che lavorino in loco elevate percentuali di blocchi, ma anche per i concessionari che si impegnino a realizzare progetti di interesse generale per il territorio che incrementino l’occupazione o migliorino l’ambiente, le infrastrutture, la sicurezza, iniziative sociali, culturali ecc.
In linea di principio non abbiamo nulla da obiettare, ma la vaghezza dei progetti ammissibili, l’indeterminatezza nella stima delle ricadute (occupazionali, ambientali, sociali, culturali) e le difficoltà di commisurare ad esse l’entità della proroga dell’autorizzazione, rischiano di vanificare l’obiettivo dell’incremento occupazionale e di introdurre eccessivi margini di discrezionalità e trattamenti disomogenei.
Per comprenderlo, vediamo un esempio adottando il rapporto prudenziale di 3,4 occupati nel-la filiera diretta per ogni cavatore. Se una cava con 5 occupati che lavori in filiera il 40% dei blocchi passa a lavorarne l’80%, induce nella filiera un aumento di 17 occupati (da 17 a 34). È pertanto ragionevole che, se la stessa cava presentasse un progetto di interesse generale, possa ricevere come premio una proroga dell’autorizzazione di pari durata solo se produce un eguale aumento occupazionale (di 17 unità); aprire un atelier, anche di discreta consi-stenza (ad es. con 5-10 dipendenti), non dovrebbe dunque essere sufficiente.
Le difficoltà di “pesare” l’importanza dei progetti da premiare aumentano poi esponenzialmente quando si confrontino valori di natura diversa (l’occupazione con un valore sociale, culturale o ambientale): se la stessa cava presentasse il progetto di aprire una galleria d’arte con 1-2 occupati, meriterebbe lo stesso premio, uno inferiore o uno superiore? È evi-dente quanto i margini di discrezionalità possano produrre valutazioni arbitrarie, col rischio di concedere 25 anni di proroga dell’autorizzazione in cambio di ricadute occupazionali minime!
Riteniamo pertanto opportuno eliminare del tutto dal Regolamento la previsione di queste premialità dai requisiti fumosi e indeterminati.

Gara pubblica e durata della concessione: ingenti premi in cambio di nulla!
Considerate le consistenti premialità per le cave esistenti che si impegnino a lavorare nella filiera locale elevate percentuali di blocchi, stupisce che nella gara pubblica per l’assegnazione delle concessioni il Regolamento (art. 5) non abbia previsto alcun requisito minimo di lavorazione in loco.
La contraddizione è conclamata: l’obiettivo di aumentare l’occupazione mediante la lavorazione in loco è chiaramente perseguito nel periodo transitorio (prima di bandire la gara pubblica) ma, una volta giunti a regime, la gara pubblica lascia aperta la possibilità di rilasciare la concessione anche a cave che esportino l’intera produzione di blocchi estratti.
Riteniamo inammissibile questa scelta poiché implica l’accettazione di utilizzare le nostre montagne come un distretto minerario estrattivo di tipo coloniale (consentendo la rapina della risorsa locale senza lasciare significative ricadute occupazionali). Crediamo infatti che, qualora non vi fossero imprenditori che assicurino la lavorazione in loco di almeno il 50% dei blocchi estratti da una determinata cava, sia doveroso non consentirne la coltivazione.
In ogni caso, la differenza di comportamento tra il periodo transitorio e quello a regime rivela che la vera priorità concreta sono gli interessi degli industriali: oggi li si premia con la proroga dell’autorizzazione e l’esonero dalla gara in cambio di maggior occupazione nella filiera e domani, con le gare a regime, li si premia con la proroga dell’autorizzazione (che da 13 anni può arrivare a 25 anni) in cambio di progetti di varia natura «che favoriscano la produzione di materiali da taglio superiore alla percentuale prevista dalla legge, lavorazione in loco, la tutela ambientale e sicurezza dei lavoratori, nonché ai progetti che favoriscano l’incremento dell’occupazione e lo sviluppo di filiere connesse al mondo del lapideo; i progetti dovranno cioè essere finalizzati all’incremento occupazionale ed allo sviluppo di filiere collegate all’attività estrattiva anche se non strettamente legati alle fasi della lavorazione».
In poche parole, il premio agli imprenditori (la proroga dell’autorizzazione fino a 25 anni) re-sta una premura costante, mentre l’occupazione diventa un requisito dichiarato, ma che, stemperato tra progetti di varia natura e con requisiti definiti solo genericamente, non è realmente perseguito con determinazione.
Ma soprattutto, perché mai si dovrebbe concedere un premio al vincitore della gara? Non sa-rebbe meglio introdurre nel bando di gara la possibilità per i concorrenti di offrire anche quei progetti di varia natura? Si manterrebbe così l’incentivo a presentarli, ma il premio (come in tutte le gare) sarebbe rappresentato dalla stessa vincita della gara. Il vantaggio pubblico di mantenere fissa la durata della concessione sarebbe quello di poter bandire una nuova gara dopo 13 anni (anziché 25 anni), ottenendo offerte migliori.
Suscita inoltre stupore il premio previsto per i progetti «che favoriscano la produzione di materiali da taglio superiore alla percentuale prevista dalla legge». In primo luogo, infatti, non è chiaro a quale percentuale si riferisca, visto che la legge (il PRC, art. 13) stabilisce il 30% al comma 2, il 25% al comma 3 e il 20% al comma 4.
In secondo luogo, la resa in blocchi dipende dal grado di fratturazione del marmo, non dalla volontà dell’imprenditore (nessuno, infatti, è tanto stupido da sbriciolare intenzionalmente i blocchi in detriti). Perché mai, allora, regalare una maggior durata della concessione all’imprenditore che ha già avuto la fortuna di vincere la gara per una cava ad alta resa? Non sarebbe meglio non prolungare la concessione, in modo da ricavarne, alla prossima gara, una miglior offerta a vantaggio pubblico?
Questi premi in cambio di nulla sono illuminanti sull’approccio politico dell’amministrazione, visto che l’interesse pubblico (in particolare l’obiettivo dichiarato di incrementare l’occupazione) svanisce o, comunque, resta subordinato agli interessi degli imprenditori.
Infine, se davvero l’amministrazione volesse mirare a rese maggiori in materiali da taglio, dovrebbe seguire la via maestra che le abbiamo suggerito per i PABE (si veda Il bacino estrattivo di Torano. Spunti per una pianificazione integrata), escludendo dalle aree estrattive quelle con marmo troppo fratturato. Purtroppo, invece, l’amministrazione si è prodigata in direzione contraria, imponendo alla Regione di abbassare dal 30 al 20% la resa in blocchi necessaria per l’autorizzazione (PRC, art. 13, comma 4).

Il faro da seguire? L’interesse della comunità! Lo strumento? Regole e vincoli precisi, non concorsi a premi!
La breve disamina fatta mostra come l’obiettivo dell’occupazione, pur ripetutamente richiamato nel Regolamento, non sia stato perseguito con la necessaria determinazione ed efficacia.
L’errore di fondo, a nostro parere, sta nell’approccio adottato: anziché esplicitare il principio-guida dell’interesse della comunità, da cui far discendere gli obiettivi (ambientali, occupazionali, economici), perseguendoli poi con coerenza in ogni articolo del Regolamento, si è prefe-rito affidarsi a premi e incentivi, rivelando una particolare sensibilità agli interessi degli industriali.
Rinunciato all’approccio regolatorio, ne è uscito un articolato incoerente, con omissioni e contraddizioni: anziché dettare regole precise da seguire, è prodigo di premi da elargire, peraltro sulla base di requisiti in larga parte indeterminati che ne renderanno difficoltosa e arbitraria l’applicazione. In definitiva, il conseguimento concreto degli obiettivi viene così la-sciato in mano agli imprenditori, che decideranno i progetti da proporre (ovviamente secondo le loro convenienze).
Per concludere, avanziamo alcune proposte di modifica del Regolamento, limitatamente al tema occupazionale:
• bandire al più presto le gare pubbliche per il rilascio delle concessioni introducendo, come requisito di ammissione alla gara, l’obbligo di lavorare in loco almeno il 50% dei blocchi e stabilendo punteggi di gara per le offerte che contengano offerte migliori (qui, oltre a maggiori percentuali di lavorazione in loco, potrebbero rientrare anche i “progetti di interesse generale” richiamati nel Regolamento);
• nella gara, abolire ogni proroga della durata della concessione; non c’è infatti alcun bisogno di premiare con la proroga i progetti citati, visto che il premio consiste già nella vincita della gara (si ricordi anche il pronunciamento dell’autorità garante della concorrenza, secondo il quale la breve durata delle concessioni assicura l’interesse pubblico);
• perseguire efficacemente nei PABE (non ancora approvati) l’obiettivo di ridurre la percentuale di detriti, escludendo dalle aree estrattive i giacimenti di marmo con rese in blocchi inferiori al 25%, anziché premiare chi ha la fortuna di vedersi affidato un giacimento poco fratturato o, addirittura, (PRC, art. 13, comma 4) concedere come premio la facoltà di produrre fino all’80% di detriti (senza contare quelli derivanti da lavori preparatori, di bonifica ecc.);
• nel periodo transitorio (prima della gara pubblica), concedere la proroga dell’autorizzazione in base alla percentuale di blocchi lavorata nella filiera locale, secondo i criteri da noi proposti nella Tab. 4, eliminando del tutto la concessione di proroghe in cambio della realizzazione di progetti vari (quanto fumosi) di interesse generale.
Ci auguriamo che l’amministrazione voglia ricondurre il Regolamento al principio del rispetto dell’interesse della comunità carrarese. Nei nostri prossimi contributi forniremo suggerimenti al Regolamento dai punti di vista ambientale ed economico.