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«La mia Biennale di Carrara è stata premonitrice». Parla Fabio Cavallucci

Torna "Colore astratto informale", la mostra curata dallo storico dell'arte in piazza Alberica

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CARRARA – Fabio Cavallucci è uno storico dell’arte e curatore d’arte italiano. È stato direttore artistico della XIV Biennale Internazionale di Scultura di Carrara nel 2010 e chief curator della Bi-City Biennale of Architecture and Urbanism di Hong Kong e Shenzhen svoltasi a Shenzhen nel 2019-2020.

Fabio, la notizia è che la mostra da te curata allo spazio Vôtre di piazza Alberica, tornerà visitabile a gennaio 2021. Dicci perché andarla a vedere.

L’unica cosa buona che c’è nella decisione del Governo di tenere chiusi musei, teatri e gallerie senza che ciò sia giustificato da particolare problematiche di ammassamento è il fatto che l’assenza di cultura produrrà un desiderio di cultura. Al termine di questo lockdown multicolore, molte persone sentiranno l’esigenza di tornare a una serie di attività al momento vietate, tra cui la visita alle mostre. Vôtre è uno spazio di per sé affascinante, con le sue decorazioni ricche e decadenti. Gli artisti presenti in questa mostra – Antonio Catelani, CCH, Maurizio Faleni, Federico Fusj, Hu Huiming, Giuseppe Linardi, Luciano Massari, Alfredo Pirri, Gianluca Sgherri, Serena Vestrucci – così come molti altri in giro per il mondo, sviluppano una pittura di carattere astratto, non geometrico, con partiture colorate evanescenti, quando non addirittura tendenti all’informale. La mostra presenta un’analisi di una situazione interna all’arte, ma la domanda che pone è generale: perché questi artisti rifuggono dalle strutture rigorose, siano forme di geometria astratta che figurative?

Come interpreti la tendenza degli artisti contemporanei a liberarsi delle gabbie formali in una realtà ipercontrollata e iperconnessa?

Una delle ragioni potrebbe essere che la società contemporanea, mentre sembra basata sulla libertà individuale, in realtà ci imbriglia sempre più in un sistema di relazioni strutturate. Ci crediamo liberi, ma si tratta di quella che io chiamo “libertà da aeroporto”: possiamo andare dal check in al controllo sicurezza, da lì al controllo passaporti e infine al gate, con tempi e percorsi prestabiliti. Gli artisti, che sono le antenne sensibili della nostra società, percepiscono questi limiti, queste rigidità, e rispondo dando sfogo a una forma di opposizione.

Tu sei stato il curatore della XIV biennale di Carrara. Vuoi parlarcene?

In un certo senso è stata una Biennale premonitrice: intitolata Postmonument cercava di fare il punto sulla fine dei monumenti e il loro impatto sociale. E oggi, dopo dieci anni, il tema è tornato prepotentemente alla ribalta. Con le proteste di Black Lives Matter la scorsa estate, dopo l’uccisione di George Floyd abbiamo visto monumenti assaliti, imbrattati, abbattuti e finanche gettati nelle acque. Personalità storiche macchiatesi di colonialismo sono state disarcionate, e anche Cristoforo Colombo, colui che aveva sfidato le Colonne d’Ercole, che aveva intuito la Terra rotonda, il grande scopritore delle Americhe, ebbene anche lui, un tempo idolatrato, ha perduto il piedistallo. Toccando questi temi con alcuni degli artisti più importanti a livello internazionale – da Maurizio Cattelan a Paul McCharty, da Antony Gormley a Cai Guo-Qiang – produsse non solo un largo movimento di pubblico (fu visitata complessivamente da oltre 40.000 persone), ma anche discussioni di ampia portata sui media. Tutti ricorderanno l’opera di Cattelan, che voleva sostituire il Monumento a Mazzini di Piazza dell’Accademia con quello a Bettino Craxi e che terminò con la realizzazione di un monumento funebre al segretario socialista defunto in esilio. Oppure la grande “cacca” di travertino di McCharty, preparata per la Piazza di Pietrasanta, dove purtroppo per il cambio di amministrazione non fu più accolta, e che restò a impacciare l’Amministrazione in via Roma, sospesa in un limbo tra la Cassa di Risparmio e l’Accademia. Peccato però che quella Biennale sia stata l’ultima! Aveva avuto un rilievo assolutamente internazionale e sarebbe bastato continuare su questa strada per un paio di edizioni e Carrara avrebbe acquisito una posizione stabile nella mappa dell’arte contemporanea mondiale.

Raccontaci le tue esperienze più significative dell’ultimo decennio. Come arriviamo a “Colore astratto informale”?

Nell’ultimo decennio ne ho combinate tante. Sono stato direttore del Centro per l’Arte Contemporanea di Varsavia, che ha sede nel castello Ujasdowski. Ho poi diretto il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, che ho condotto alla riapertura dopo l’ampliamento nel 2016 con la mostra intitolata “La fine del mondo” che fu visitata più di 65.000 persone. Ultimamente sono stato in Cina, dove ho co-curato l’ultima edizione della Bi-City Biennale di Architettura e Urbanistica di Shenzhen (insieme a Meng Jianmin e Carlo Ratti), inaugurata nel dicembre 2019, e dove ho appena terminato una ricerca per conto della Biennale per rinnovare il suo sistema organizzativo e cercare di essere più agile sul versante del fundraising. “Colore-astratto-informale” – sembrerà strano – raccoglie un’idea cresciuta nei miei viaggi internazionali degli ultimi anni, che ha trovato un punto di coincidenza con idee che Nicola Ricci, responsabile di Vôtre, stava maturando autonomamente. È nelle fiere e nelle Biennali degli ultimi anni che ho visto una consistente crescita della pittura astratta non geometrica. Non è certo preveggenza, ma è perlomeno una coincidenza che in questo momento al Guggenheim di New York si sia aperta una mostra intitolata “Fullness of Colour”, dedicata al movimento del Color Field Painting degli anni Sessanta, da Helen Frankenthaler a Morris Louis, da Kenneth Noland a Jules Olitski. Una volta si diceva “lo spirito del tempo”.

Sei uno storico dell’arte e curatore di fama internazionale. Che rapporto hai con Carrara, dove sei tornato a distanza di dieci anni?

A Carrara ho passato quasi un anno della mia vita per l’organizzazione della Biennale e mi è rimasta nel cuore. Ho qui molti amici, con cui ci sentiamo e frequentiamo, anche a distanza. È una città che amo, e che spererei di vedere crescere e svilupparsi sul piano artistico e culturale. Il nome di Carrara è famoso nel mondo, e credo che le sue potenzialità prima o poi debbano dar luogo a qualcosa di grande.

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