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«A Carrara la cava romana più grande d’Europa… se si fossero ampliati gli scavi» foto

Italia Nostra torna a parlare del sito archeologico apuano: «Perché la Soprintendenza si disinteressa dei numerosi reperti ancora giacenti?»

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CARRARA – «Riteniamo non sia più rinviabile il momento di fare chiarezza sulla cava romana di Fossacava e sui connessi progetti di collaborazione con la Soprintendenza di Lucca, di cui, tramite stampa, ha dato notizia recentemente l’amministrazione comunale (leggi qui).  I cittadini di Carrara devono conoscere l’attuale paradossale situazione del patrimonio archeologico della città per il quale, peraltro, sono previste spese considerevoli di denaro pubblico». Lo afferma Italia Nostra che torna sull’argomento di Cava Romana a Carrara, che, secondo le previsioni del Comune, dovrebbe aprire durante la prossima estate.

«La cava romana di Fossacava-La Fabbrica – spiegano dall’associazione – fu rilevata archeologicamente per la prima volta alla fine degli anni ’70 del secolo scorso dal professor Enrico Dolci all’interno di un più vasto programma di rilevamento delle cave antiche ancora rintracciabili sulle montagne di Carrara. I risultati della ricerca confluirono nel volume “Carrara Cave Antiche”, pubblicato nel 1982 dal Comune. Grazie a questa indagine fu possibile anche ricostruire le tecniche di escavazione applicate dai cavatori lunensi in epoca romana».

«Tutti i materiali repertati, tra cui un’abbondante campionatura dei marmi prodotti a Carrara in epoca romana, costituirono la base scientifica ed illustrativa del neonato Museo Civico del Marmo (1982), struttura interdisciplinare e “progressiva”, in cui, cioè, avrebbero dovuto essere conferiti tutti i materiali di interesse storico-archeologico riferibili alla storia del marmo di Carrara. Una sorta di cantiere aperto, un contenitore di quanto può ancora essere recuperato e salvato. Nel 2015, il Comune di Carrara effettuò un intervento finalizzato alla valorizzazione archeologica del sito di Fossacava: di fatto, però, l’intervento si limitò ad uno scavo molto parziale del sito, che portò alla luce solo una decina di metri della tagliata principale sul lato sud della cava, già oggetto di approfonditi rilevamenti e studi negli anni ‘80».

«Se, come opportuno, lo scavo fosse stato ampliato all’intero sito, oggi Carrara avrebbe la cava romana più grande e documentabile in Italia ed in Europa, completa di tutte le sue componenti. Invece, fu deciso, in modo incomprensibile, di fermarsi ad un piccolo settore della cava rinunciando a risultati archeo-storici ben più importanti. Non solo. Nella costruzione del fabbricato destinato all’accoglienza dei visitatori è stato distrutto quasi interamente il ravaneto d’epoca romana, situato sul lato esterno del sito, verso la valle di Colonnata. Tutto ciò avvenne, incredibilmente, sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica di Firenze. In quell’occasione vennero alla luce alcuni semilavorati lunensi dotati di iscrizione, tra cui alcuni “labra” (bacini ad uso decorativo) e alcuni materiali ceramici grazie ai quali si è confermata la datazione dell’inizio dello sfruttamento del sito nella seconda metà del I secolo a.C.».

«Furono realizzati anche pannelli didattici, purtroppo caratterizzati da errori e omissioni. I materiali marmorei venuti alla luce furono lasciati sul posto con grave pregiudizio per la conservazione delle iscrizioni latine incise a scalpello: tra queste, un’iscrizione di eccezionale rilevanza storica, appartenente al gruppo catalogato da Enrico Dressel alla fine dell’Ottocento. La fruizione del sito da parte del pubblico non decollò mai veramente: Fossacava è stata abbandonata nell’incuria generale. In questi giorni leggiamo di un accordo tra Comune e Soprintendenza di Lucca con l’obiettivo di rendere fruibile il sito. A tale scopo, sono previsti, tra le altre cose, il rinnovo della cartellonistica e un video multimediale; l’incarico è stato affidato alle stesse persone che vi lavorarono nel 2015, prive dell’adeguata esperienza nel campo dell’archeologia mineraria. La Marmologia Archeologica è una specializzazione recente con pochi specialisti e non risulta che i soggetti pluri-incaricati siano in possesso di tali specifiche conoscenze».

«Tutto questo accade nella cornice della decennale e irrisolta questione della cura del Museo del Marmo, che, a buon diritto, ormai, dovrebbe essere parte della storia culturale della città, dunque da valorizzare e incrementare. Fu concepito, al momento della sua fondazione, come un “cantiere aperto” a quanto ancora reperibile, salvabile e da conservare. Da statuto, dunque, anche i materiali reperiti a Fossacava dovrebbero trovare la loro collocazione nel Museo. Invece, non solo è stato depauperato di alcune sezioni espositive, ma addirittura è oggetto di un incomprensibile progetto di smembramento e spostamento a Palazzo Pisani, in centro città, secondo la volontà dell’assessore Federica Forti: un sito conservativo e fruitivo, dunque, totalmente staccato dal museo di riferimento. Ci chiediamo come possa la Soprintendenza di Lucca continuare ad avallare certi progetti, disinteressandosi anche dei numerosi reperti ancora giacenti presso le cave e più volte segnalati (senza peraltro ricevere mai alcuna risposta) da Italia Nostra Apuo-Lunense, reperti da anni esposti a distruzione, danneggiamenti e appropriazioni indebite. Il tutto in spregio a leggi, regolamenti e ordinanze vigenti».

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