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Quando Bellugi disse: «Se è antifascista lasciatelo morire»

La storia di Leonida Tonarelli e del dottor Carlo Orecchia che disobbedì ai fascisti

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“Se è antifascista lasciatelo morire”. Potrebbe aver detto qualcosa di simile Ubaldo Bellugi quando i famigliari di Leonida Tonarelli, meglio conosciuto come Manlio, nato a Massa nel 1898, gli chiesero l’autorizzazione necessaria a far ricoverare il ragazzo in ospedale. All’epoca Tonarelli aveva 26 anni ed era malato di tisi. L’aveva contratta in Francia, dove si era rifugiato qualche tempo prima, dato che Italia, negli anni ‘20, non poteva più vivere: era apertamente antifascista, e per questo lo perseguitavano. I diritti essenziali gli erano negati, e fu spesso picchiato da chi a quel tempo ricopriva la carica di commissario di Massa, Ubaldo Bellugi.

A raccontare la storia del giovane antifascista è Cesare Valesi, figlio di un artigiano anarchico che come Tonarelli fu mirino delle pratiche fasciste di Bellugi. Ad ogni fascista, però, spesso si contrapponeva un antifascista. O comunque qualcuno che rifiutava di obbedire a quelle leggi che, pur essendo riconosciute e ampiamente condivise, apparivano disumane. È il caso del dottor Carlo Orecchia, al tempo primario dell’ospedale civico di Massa.

«Manlio fu perseguitato, bastonato a sangue, costretto a fuggire in Francia» – racconta Cesare Valesi, che ha trascorso del tempo a raccogliere memorie di famiglia e testimonianze del periodo fascista a Massa. In particolare legate alla vita di Ubaldo Bellugi, fascista, poeta, drammaturgo: un uomo che in vita ha operato sia nella luce che nell’ombra. Ed è su quest’ombra che Valesi intende soffermarsi. Anche perché il monolite annunciato dall’amministrazione Persiani, che verrà posizionato ai Quercioli, è dedicato al lato artistico della vita di Bellugi. Ma delle ombre, note e documentate, non vi è alcuna traccia. Dunque Valesi, al contrario, ricorda e racconta: «Malato di tisi Tonarelli tornò in Italia; i famigliari chiesero al Bellugi l’autorizzazione al ricovero. La secca risposta fu che nessun ricovero era previsto per gli antifascisti. Il professor Orecchia, primario dell’ospedale, lo ricoverò lo stesso, prendendosene la responsabilità. La malattia del ragazzo era però talmente avanzata che poco dopo morì». Per Valesi intento dell’amministrazione è la valorizzazione «dell’uomo politico e non solo del poeta». E senza troppi giri di parole spiega perché: «Stefano Benedetti, allora consigliere e ora presidente del consiglio comunale, rivolgendosi alla commissione scientifica per la realizzazione di un volume sulle opere del Bellugi ebbe a dire: ma che cultura! È l’uomo politico che deve essere rivalutato».

E in merito alle affermazioni del consigliere comunale Matteo Bertucci, schierato in difesa del monolite, Valesi replica: «Bertucci parla del buon comportamento del Bellugi, mentre è noto che già da giovane terrorizzasse le famiglie di Borgo Ponte, dove era nato, motivando la sua condotta col proposito di portare sulla retta via socialisti, repubblicani e anarchici. È inoltre falso che il poeta non abbia mai lasciato la sua amata terra perché si rifugiò nell’Italia settentrionale, dove rimase per un certo periodo finché rientrò a Massa quando la situazione si era tranquillizzata. Il comitato di liberazione e i partigiani fecero in modo che non subisse alcuna conseguenza per il suo comportamento, fu solo oggetto di invettive da parte della popolazione al suo apparire in pubblico. L’idea di superare con questo monumento ogni divisione, ogni diverbio sul passato, mi fa ricordare il titolo del libro di Carlo Levi: il futuro ha un cuore antico». Oggi, venerdì, si terrà l’incontro fra l’amministrazione Persiani e una delegazione dell’Anpi per discutere dell’iniziativa voluta dalla giunta.

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