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«Emergenza marmettola, no al soccorso pubblico. La soluzione se la trovino gli industriali»

Legambiente Carrara non usa mezzi termini: «Si dica chiaramente che la marmettola è un rifiuto speciale e che gli imprenditori lapidei se ne devono fare carico, sotto il profilo dei costi anzitutto, e assumendosi la responsabilità di riconoscere la loro incapacità a realizzare veri circoli virtuosi dei propri sistemi produttivi»

MASSA-CARRARA – «La “nuova” emergenza si chiama marmettola. Tanto nuova, a dir la verità, non è. Ma dopo la chiusura della discarica di servizio alla Venator di Scarlino e la conseguente interruzione dei ritiri, per il tramite della Cages di Massa, le istituzioni locali si sono affannate a cercare una soluzione ad un problema che – per essere chiari – è marcatamente delle imprese lapidee. Già a settembre eravamo intervenuti, come Legambiente, per mettere in evidenza come la “crisi” di oggi non sia conseguenza di un destino cinico e baro, ma dell’incapacità e dell’indolenza di un sistema produttivo e industriale che vive alla giornata, gioca su termini ambigui, usa il tema della sostenibilità e della circolarità a giorni alterni e quando più gli aggrada e adopera il ricatto occupazionale per spingere gli enti locali a impegnarsi nella ricerca di soluzioni a un problema che potrebbe avere pesanti ripercussioni sociali (in termini soprattutto occupazionali) e ambientali (per una non corretta gestione di quello che, fintanto che non trova reali e “strutturali” forme di recupero è e rimane – per legge – un rifiuto». Legambiente Carrara interviene nel dibattito sullo stoccaggio della marmettola derivante dalle cave di Carrara e Massa e non le manda a dire: «No al soccorso pubblico, le soluzioni le trovino gli imprenditori».

«Come associazione, da tempo ormai, sosteniamo che l’economia circolare ha bisogno di impianti e che “rifiuti zero” senza “impianti mille” è solo una presa in giro. Se parliamo di rifiuti urbani è corretto e giusto che siano i Comuni a farsi carico di realizzare anche le strutture impiantistiche, pubbliche, per rendere concreta la circolarità. Ma se ci spostiamo nel campo dei rifiuti speciali, derivanti dalle attività produttive, questo onere è tutto degli imprenditori: perché dovrebbe fare eccezione il comparto lapideo apuano? È persino paradossale che i cantori del “libero mercato e della libertà di intrapresa” bussino poi alle porte delle istituzioni, pretendendo che da queste arrivi la soluzione perché non hanno mai investito in ricerca, in innovazione di processo, in tecnologia e si sono affidati (loro, proprio loro!) ad un “monopolista”».

«Cerchiamo quindi di fare chiarezza: la crisi della Venator e il conseguente blocco della Cages, non ha le sue radici in una crisi di mercato ma nel fatto che la discarica in cui conferivano i “gessi rossi” (un mix del residuo della loro produzione di biossido di titanio con i fanghi della lavorazione del marmo) non ha più la capacità di ricevere questi rifiuti. Una discarica creata da una ex cava a Montioni, nel bel mezzo di un parco naturale in prossimità di Follonica. La strana parabola della marmettola che diventa sottoprodotto per unirsi ad un altro scarto di lavorazione e creare un rifiuto non ci sembra un esempio mirabile di “economia circolare”. Altro punto su cui fare chiarezza: la marmettola è, fintanto che non trova un suo reale utilizzo come materia prima seconda, un rifiuto. Lo dicono le norme europee e il Codice dell’Ambiente: il catalogo europeo dei rifiuti gli attribuisce il codice Cer 010413 (Rifiuti prodotti dal taglio e dalla segagione della pietra). Questi rifiuti possono essere considerati, invece, sottoprodotti ma a ben precise condizioni (le indica lo stesso Testo Unico dell’Ambiente) che invece, al momento, nel ciclo produttivo da cui origina la marmettola non sono soddisfatte».

«Si ponga fine, quindi, al gioco “delle tre carte”; se si pensa di destinare a questi scarti un’area di “stoccaggio” (perché non chiamarla discarica?), per di più ai Grottini o Codupino a Massa (area già di per sé meritevole di attenzione per la discarica “Asmiu”), si dica chiaramente che la marmettola è un rifiuto speciale e che gli imprenditori lapidei se ne devono fare carico, sotto il profilo dei costi anzitutto, e assumendosi la responsabilità di riconoscere la loro incapacità a realizzare veri circoli virtuosi dei propri sistemi produttivi.Altrimenti non ci resterà altro che pensare che quel sistema di imprese continui “a fare lo scemo per non pagare le tasse” (anche letteralmente). In conclusione, a nostro avviso non ha alcun senso che le Amministrazioni pubbliche si debbano attivare per risolvere il problema della marmettola, al posto delle imprese di un settore che vanta già profitti stratosferici; altrimenti dovrebbero fare altrettanto per gli altri settori produttivi (edilizia, nautica ecc.), che invece pagano per un corretto smaltimento dei rifiuti da loro prodotti. Come già detto sopra, gli imprenditori del lapideo sapevano da tempo che la Cages avrebbe smesso di ritirare la marmettola. Se sono stati imprevidenti, problemi loro. Trovino una discarica che accolga i loro rifiuti (anche se, per inciso, per la nostra Associazione la discarica è la destinazione peggiore per i rifiuti) e paghino per il conferimento come già fanno imprese di altro tipo. Sicuramente, il fatto di dover pagare per lo smaltimento, costituirà un potente incentivo per trovare rapidamente un riutilizzo della marmettola nell’economia circolare».