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“Corpetti e aborti spontanei per non perdere il posto”, la denuncia di Uil Fpl Massa-Carrara

Sono solo alcuni dei casi provenienti dagli enti pubblici e terzo settore che in questi due anni sono arrivati all'attenzione dello sportello contro mobbing e straining sul posto di lavoro

MASSA-CARRARA – C’è l’architetta che indossa un corpetto contenitivo mesi e mesi per nascondere la gravidanza per poi trovarsi costretta a partorire d’urgenza con taglio cesareo e la figlia nata prematura ricoverata per due mesi in terapia intensiva. Una storia simile a una donna che lavorava nel commercio come commessa: stavolta il figlio è nato con gravi problemi fisici. Sempre nel commercio, una donna addetta alle mansioni di carico e scarico merci resta incinta: lo segnala ai superiori ma non viene assegnata subito a un altro incarico più leggero. Viene lasciata a spostare merce pesante.

Il trasferimento arriva, sì, ma solo dopo che la donna ha un aborto spontaneo e viene oltretutto demansionata. Ci sono poi situazioni in cui la prima gravidanza viene sopportata ma alla seconda il datore di lavoro non ci sta. Lei, affermata manager d’azienda, va in maternità e quando torna trova un collega al suo posto ritrovandosi demansionata. Un’altra è responsabile del reparto aziendale: al rientro dopo la seconda gravidanza, demansionamento, vessazioni e minacce che sfociano nella frase choc ‘se torni ti faranno morire’.

Sono solo alcuni dei casi provenienti dagli enti pubblici e terzo settore che in questi due anni sono arrivati all’attenzione dello sportello contro mobbing e straining sul posto di lavoro istituito dal segretario della Uil Fpl Massa Carrara, Claudio Salvadori. In particolare queste vicende hanno tutte qualcosa in comune. Sono tutte donne e tutte hanno subito fenomeni di mobbing, straining e demansionamento correlati alla loro gravidanza. Situazioni che sono state al centro del convegno organizzato ieri pomeriggio dalla Uil Fpl nella Sala della Resistenza di Palazzo Ducale. Oltre al segretario Salvadori, sono intervenuti la segretaria regionale Uil Fpl Toscana Terzo Settore, Beatrice Stanzani, l’avvocato del lavoro Cassazionista Daniele Biagini e la segretaria organizzativa del sindacato Chiara Marsili.

«E’ importante riconoscere questi comportamenti  il prima possibile per poterli contrastare, a seconda della gravità con le relative contromisure – ha sottolineato Salvadori -. Troppo spesso i lavoratori, per la paura di perdere il posto di lavoro non si difendono subendo continue vessazioni che diventano prassi. Quando a causa di una situazione di stress forzato sul posto di lavoro il lavoratore subisce almeno un’azione ostile da parte di un superiore gerarchico, i cui effetti negativi sono duraturi e costanti nel tempo (come per esempio il demansionamento), ci troviamo di fronte ad una situazione di straining. Mentre dobbiamo parlare di mobbing quando l’aggressione sistematica e continuativa nei confronti del lavoratore da parte di un superiore gerarchico (mobbing verticale) oppure da colleghi (mobbing orizzontale), è finalizzata con chiari intenti discriminatori ad emarginare o estromettere  il lavoratore dal proprio ambiente di lavoro con l’intento di arrecargli un danno psicofisico, morale ed economico».

E sono in costante aumento i casi di mobbing orizzontale, fra colleghi, soprattutto per le donne in maternità. Ma c’è un problema su tutti, come evidenzia Salvadori: «In Italia non esiste il reato specifico di mobbing o straining. L’onere della prova è a carico della vittima. Per questo un consiglio utile  è prendere nota cronologicamente in un diario di ogni singolo atto o comportamento vessatorio e acquisirne le prove. Importantissima la disponibilità a testimoniare da parte di colleghi perché la vessazione in ambito lavorativo non si risolve mai da sola».

Salvadori ha affrontato il problema anche sotto il profilo del sindacato evidenziando la necessità di figure come il sindacalista forense, «la prima alla quale il lavoratore debba rivolgersi quando subisce una vessazione. Gli altri professionisti come avvocati, psicologi e via dicendo dovranno essere coinvolti tenendo sempre presente ogni singola specificità». Poi una riflessione specifica sulle discriminazioni nel periodo della maternità: “E’ ancora più complessa di altre perché è frutto di tutta una serie di ostacoli posti dal datore di lavoro difficilmente dimostrabili nelle sedi opportune. In Italia si parla di 800mila donne all’anno che perdono il posto di lavoro a in gravidanza, costrette a dare le dimissioni per gli ostacoli insormontabili imposti per conciliare famiglia e lavoro.

Di queste 500mila circa sono vittime di mobbing o straining. Un dato allarmante e disastroso ma ritengo che sia sottostimato per il semplice fatto che per non perdere il lavoro molte lavoratrici subiscono vessazioni e demansionamento. Tutti i rilevamenti sono concordi nello stimare negli ultimi 5 anni un aumento del 30% circa dei casi”.