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«Coi Pabe un futuro uguale al passato». Legambiente delusa

L'associazione ambientalista dopo aver inviato le sue osservazioni: «Tanti studi per nulla»

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«Coi Pabe un futuro uguale al passato, tanti studi per nulla». È delusa Legambiente Carrara che ha inviato una nota in cui esprime il suo disappunto e che riportiamo integralmente di seguito.

Legambiente, consapevole della grande importanza dei PABE, vi ha investito molte energie e speranze, come testimoniano i cinque corposi contributi presentati( ). Il sogno era quello di un piano che, finalmente, riportasse ordine e legalità nei bacini estrattivi: eliminare le cave che distruggono la montagna per estrarre pochi blocchi e quantità spropositate di detriti; tenere le cave pulite come uno specchio per evitare l’intorbidamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti ad ogni pioggia; convertire i ravaneti da fattore di rischio idraulico in fattore di sicurezza, ripulendoli dalle terre e ricostruendo ravaneti-spugna di sole scaglie; sviluppare la filiera del marmo limitando le esportazioni e assegnando le concessioni alle imprese che garantiscano di lavorare in loco elevate percentuali del marmo estratto; eliminare gli elementi di degrado riqualificando l’intero bacino ecc.

L’aspetto più deludente è che, nonostante la redazione dei PABE abbia comportato lo sviluppo di un imponente quadro di conoscenze di ottimo livello (geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, ecologiche, beni storici e archeologici ecc.), nulla di tutto ciò è avvenuto: un vero patrimonio di intelligenza e di conoscenze sprecato!

E non si tratta certo di incapacità, ma di una chiara scelta politica: il comune di Carrara, infatti, si è dato molto da fare, anche per il Piano regionale cave, per assicurare la prosecuzione delle attività estrattive con produzione eccessiva di detriti.

Per esplicita richiesta del comune, infatti, la resa minima in blocchi del 30% prevista dal comma 2 dell’art. 13 del PRC è scesa al 25% (comma 4) e al 20% (comma 5) per le cave che realizzino progetti di incremento dell’occupazione (es. aprendo un negozio di souvenir). Inoltre (comma 6), anche i detriti, se impastati per ottenere materiali da taglio, vengono computati come blocchi, aprendo così la strada all’apertura di cave di soli detriti. Infine (comma 9) la resa in blocchi apparente viene aumentata escludendo dal calcolo dei detriti quelli provenienti da lavori di preparazione dei fronti di cava, di messa in sicurezza, di risistemazione ambientale, di rampe di cava ecc.

Particolarmente grave è il tipo di premio per i progetti di aumento dell’occupazione citati: non già una proroga dell’autorizzazione, un aumento delle quantità estraibili, una detassazione ecc., ma un’escavazione più distruttiva, in violazione del principio fondamentale proclamato dal PITPPR e dai PABE stessi: valorizzare al massimo la risorsa marmo riducendo al minimo la produzione di detriti.

Sarebbe come se in una scuola (in cui si insegna ed esige il rispetto degli altri), come premio agli alunni con il miglior profitto, si concedesse loro la libertà di compiere un’azione riprovevole, contraria al principio del rispetto (ad esempio, picchiare i loro compagni)!

Tutto ciò, unito alla rarefazione dei controlli (ogni 5 anni, anziché annuale), assicurerà la prosecuzione delle cave più distruttive.

Analoga fermezza i PABE dimostrano nel salvaguardare le cave che, abbandonando marmettola sulle superfici di cava, provocano l’inquinamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti. I PABE, infatti, si limitano a prescrivere l’adozione di alcuni accorgimenti (es. contenere le acque di lavorazione al piede del taglio e realizzare vasche di sedimentazione) senza esigere il rispetto di una data prestazione (uscita di acque limpide, piazzali puliti). Così basta realizzare quegli accorgimenti per essere in regola, anche se tutte le superfici della cava sono invase da marmettola.

Anche per la riduzione del rischio alluvionale, i PABE mostrano una particolare timidezza: ad esempio vietano il riempimento di cave a fossa (poiché funzionano da bacini di immagazzinamento idrico), ma non prescrivono lo svuotamento di quelle già riempite in passato; analogamente, salvaguardano i ravaneti con capacità di immagazzinamento idrico, ma non si propongono di recuperare questa funzione nei ravaneti pieni di terre.

Non mancano certo aspetti positivi, come l’istituzione delle aree di tutela delle sorgenti, le norme tecniche geologiche, i pregevoli studi sui ravaneti ecc., ma l’efficacia dei PABE è vanificata dalla spasmodica attenzione a emanare norme che non mettano in discussione l’assetto attuale delle cave. In conclusione i PABE prefigurano un futuro uguale al passato: una grandiosa, forse irripetibile, occasione sprecata.

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