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L’AMBULATORIO | 3ª puntata de "La Bizzarria dei Solchi Sequenziali"

Seconda parte di tre del nuovo capitolo del romanzo che racconta la fantastica avventura di Cesare Mariocchi

Riprendiamo come ogni domenica la narrazione del romanzo “La Bizzarria dei Solchi Sequenziali – Viaggio nel pianeta delle donne” di B.G. Stefano, in cui l’Autore racconta con dovizia e puntualità di dettagli, una fantastica avventura accaduta all’amico Cesare Mariocchi. Visiteremo un mondo nuovo e imprevedibile, un mondo in cui gli Esseri Umani adottano un nuovo stile di vita, in cui potremo immaginare di vivere noi stessi ed immedesimarci nella posizione di concittadini in quel contesto sociale così diverso dal nostro attuale. Buona Lettura!. Chi si fosse perso la prima puntata, può CLICCARE QUI. La seconda puntata è pubblicata invece a QUESTO LINK

L’AMBULATORIO – 2ª parte di 3

Il giorno successivo, per disturbare meno possibile l’altro paziente, fu assegnata a Cesare una camera propria, la sola altra disponibile, nella quale l’affluenza di personaggi in cerca di notizie aveva subìto un crescendo continuo, tenendolo in costante agitazione.
Le Autorità locali non lo avevano lasciato in pace. Da quando la notizia, della sua, diciamo così, improvvisa apparizione in quel piccolo Ambulatorio Medico, si era divulgata, non passava giorno che esponenti di qualche istituzione o giornalisti o curiosi, non si facessero vivi per far conoscenza, chiedere, curiosare. Senza alcun successo però.
Tutti volevano sapere qualcosa, volevano informazioni su fatti che lui stesso aveva difficoltà ad interpretare. Ancor meno di lui poteva fornirle l’altro paziente, che stava uscendo dal coma, era ancora sotto attenta osservazione, e nessuno sapeva quali sarebbero state le sue future condizioni cerebrali. Le domande che gli venivano poste erano sempre le stesse.
“Chi erano loro? Da dove venivano? Di che nazionalità? Cosa facevano in montagna? Chi li aveva portati fin li? Perché erano completamente nudi? Facevano forse parte di qualche comitiva di scalatori?”. In verità non avevano notizia di alcuna spedizione in difficoltà! Nessuna spedizione aveva denunciato perdite!”
Anche la sua istintiva reazione alle domande fu sempre la stessa. E cioè quella di evitare dichiarazioni poco credibili. In cuor suo era consapevole che la faccenda avrebbe avuto un interminabile seguito se avesse raccontato la sua verità sull’accaduto.
Nessuno poteva supporre quanto la vicenda fosse al di sopra di qualsiasi immaginazione.
Si trincerò pertanto dietro una serie di non ricordo, ricordava e dichiarò il suo nome, la sua provenienza, ma non sapeva cosa fosse successo né come fosse finito a faccia a terra nella stanza dell’Ambulatorio Medico, naturalmente rispondeva solo per se, disse di non sapere neppure chi fosse il suo compagno di stanza.
Ed era vero poiché non solo Cesare non poteva immaginare di risvegliarsi in quel posto, ma ancor meno di trovarvi una persona qualsiasi da lui conosciuta. Tra l’altro, non provando alcun interesse per quel tizio, non lo aveva ancora degnato neppure di uno sguardo.
Dopo quattro giorni ormai Cesare si sentiva molto meglio, si sentiva lucido e pensando alla sua situazione, cercava spesso senza riuscirci, di capire cosa diavolo gli fosse capitato. I fatti accaduti parevano a lui stesso, senza spiegazione. Figuriamoci come poteva darne alle Autorità.
Di conseguenza, dopo diversi tentativi, ipotesi e supposizioni non confermate da Cesare, questi rappresentanti dell’Autorità rinunciarono ad approfondire con altri interrogatori, lasciandolo tranquillo.
Le sue giornate erano trascorse nell’attesa di qualche sviluppo della situazione da parte di costoro che avrebbero dovuto rimpatriarlo.
Cesare era rimasto allibito quando, durante una delle frequentazioni della Stanza Medicazioni del Pronto Soccorso, pose lo sguardo alla parete sopra la scrivania, vi era appeso un orologio con datario che segnava nella lingua inglese: ore 12 e 14 minuti di Mercoledì 24 Marzo 1993.
“Non ci credo …” pensò “non è possibile! Non può essere vero!”
Lentamente apostrofò in inglese l’Infermiera chiedendole di selezionare la data giusta e quando questa asserì che quella era la data giusta, fece attenzione al televisore che Sarin talvolta accendeva, “Ecco! ora vedremo!”, pensò. Al telegiornale locale, trasmesso poco tempo dopo, appariva la stessa data.
All’istante ricordò di aver notato, sulla scrivania dell’ufficio, alcuni quotidiani che Sarin tutti i giorni acquistava, anche nei giorni passati; corse a controllare: le date coincidevano. Non c’era nessun dubbio! La data era corretta!
La conoscenza di quella data lo mise in agitazione: “Cosa sta succedendo? La data di oggi non dovrebbe assolutamente essere precedente al tredici (13) o al dodici (12), massimo all’undici (11) Aprile del millenovecentonovantatre (1993), altrimenti …”. Una ridda di pensieri gli turbinava nella mente. Ancora si domandava: “Cosa mi potrebbe succedere? Chissà, cosa potrebbe accadere!”. Poi si dava delle risposte: “E chi lo sa! Gli eventi potrebbero cambiare! Potrebbe succedere qualcosa di serio!”, e poi ancora: “Ma cosa dico? Cosa devo fare?” un brulichio di interrogativi e di supposizioni gli turbinava nel cervello. Si impose la calma, stava accadendo qualcosa di grandioso, di inverosimile, avrebbe dovuto ragionare tranquillamente per prendere delle decisioni su come muoversi.
Andò a sdraiarsi sul suo letto, nel silenzio della stanza chiuse gli occhi, doveva pensare a cosa fare, a cosa dire, a come comportarsi.
Nessuna delle decisioni che immaginava opportune, da prendersi, gli appariva subito dopo, convincente.
Poco dopo Cesare passeggiava nel corridoio che separava le stanze di degenza dall’ingresso sala d’attesa. Ad un tratto gli capitò di notare appesa al muro, trattenuta da quattro chiodi a gancio, una lastra di alabastro con i bordi irregolari e fratturati.
Portava incise lettere in caratteri sconosciuti.
Se qualcuno fosse stato lì, vicino a Cesare in quel momento, lo avrebbe visto sbiancare in volto. Tanto lo aveva colpito la vista di quel documento. Un brivido gli percorse la spina dorsale, tanto che attese qualche minuto prima di affacciarsi alla Stanza Medicazioni adiacente.
L’infermiera era impegnata in un lavoro a maglia, Cesare le chiese con noncuranza, notizie su quella lastra appesa al muro, di cosa si trattasse. L’infermiera distrattamente rispose:
“Si tratta, credo, di una vecchia pietra trovata qui quando hanno scavato le fondamenta di questo Pronto Soccorso circa trentacinque anni or sono. Quando io arrivai era ancora sul selciato li fuori. Fui io stessa a dire al muratore di attaccarla al muro, così …, mi pareva un decoro!”.
“E cosa c’è scritto?” chiese Cesare come se fosse distrattamente interessato.
“Mah, non so davvero! Forse il sovrintendente Medico conosce quella scrittura antica, chiedilo a lui quando tornerà” consigliò l’infermiera, ma senza convinzione: “Una volta l’ho visto col naso in su che la guardava”. Un attimo di silenzio e poi concluse:
“Ho sentito dire da lui che dovrebbe essere vecchia di circa cinquecento anni!” specificò. Improvvisamente si mostrava fiera che quel reperto storico si trovasse nel suo Ambulatorio.
Cesare entrò in bagno e raccolse un lungo chiodo mezzo arrugginito che aveva notato il giorno prima sul davanzale, dietro l’inferriata. Era probabilmente un residuo dei lavori di ripristino dei locali e degli infissi effettuati in precedenza.
Con quel chiodo, che tenne nella tasca della giacca del camicione, tracciò delle lettere sulla lastra, che ad un occhio non attento si confondevano con gli altri segni. Ogni qualvolta aveva occasione di passarle davanti, non sorvegliato, egli facendo attenzione a non farsi udire, ripassava i segni incidendoli più profondamente. Si chiese: “Chissà se qualcuno, un giorno, si accorgerà che questa scritta aggiunta non ha niente a che fare con i caratteri cuneiformi della scritta originale. Beh! Può darsi di si. Ma forse immaginerà che fossero stati incisi per gioco ancora prima del ritrovamento ufficiale del reperto. Spero! Qualcuno dirà di non ricordarli? Ci saranno foto del reperto originale?”. Conclusi che si, sarebbe stato possibile per qualcuno rilevare la novità di quei segni ma che comunque fosse poco probabile. E per garantire un minimo di certezza a quella speranza, quando decise che la sua opera era terminata, si sporcò le dita con un po’ di ruggine e nei giorni successivi, più volte sporcò e ripulì, sporcò e ripulì la scritta. Finché si convinse che pareva quasi originale quanto il vero reperto.
Comunque era certo che quella pietra avrebbe ricevuto nel tempo molti altri segni, graffi e rotture, ma sarebbe rimasta pressoché integra.
Nel pomeriggio del sesto giorno di degenza nel Pronto Soccorso, Cesare ebbe occasione di trovarsi di nuovo nella camera di degenza dell’altro paziente. Questi non si era ancora risvegliato completamente dal coma. Si avvicinò, per curiosità, al suo letto e ad un esame più approfondito riconobbe, con immenso stupore, il proprio compagno di viaggio nel volo Alitalia, Roma Bangkok. Lo riconobbe soprattutto dall’inconfondibile protuberanza che portava sulla schiena.
La sorpresa gli tolse il respiro, il vicino di letto era Lucio, il suo compagno di viaggio.
Si ritrasse senza riuscire a trattenere un’imprecazione. Sarin udì e percependo nella voce un tono allarmato, si precipitò nella stanza:
“Cosa succede?”, chiese preoccupata, guardando il paziente immobile.
“Niente, niente!”, la tranquillizzò Cesare, allontanandosi “mi pareva si fosse mosso!” concluse.