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Cava Fornace e l’amianto: il grande problema dello smaltimento sicuro

La Voce Apuana ha intervistato due esperti del settore: il presidente nazionale di Assoamianto Sergio Clarelli e il dirigente di un’importante azienda David Lisetti

Il problema dell’amianto è ancora ben presente in Italia e anche nella provincia di Massa-Carrara. Una questione che tocca molto da vicino il territorio apuano, infatti, è quella della presenza di una discarica al centro di mille polemiche, proprio per lo stoccaggio di amianto. Stiamo parlando del sito di Cava Fornace nel comune di Montignoso. Da una parte gli imprenditori e le associazioni datoriali, che vogliono quella discarica attiva fino alla realizzazione di un impianto di inertizzazione del materiale pericoloso; dall’altra il comitato anti-discarica, che vuole che quel sito venga chiuso al più presto, attivando da subito i processi di inertizzazione. «L’amianto sotterrato in discarica è ugualmente pericoloso» dicono.

Tra le due posizioni, però, bisogna considerare una questione non di poco conto che influisce pesantemente su tutta questa situazione. Ci riferiamo in particolare proprio all’inertizzazione dell’amianto, un procedimento che andrebbe concretamente ad annullare gli effetti negativi di questo materiale così pericoloso. E che sarebbe l’ideale. Il problema è che non esiste a oggi una disposizione legislativa che vada a normare nel dettaglio le procedure e la realizzazione di impianti di inertizzazione dell’amianto.

A evidenziare questo grande problema è il presidente nazionale di Assoamianto, l’ingegner Sergio Clarelli. «Il trattamento dell’amianto – spiega alla Voce Apuana – è stato oggetto di due disposizioni normative e una raccomandazione: il decreto legislativo del 13 gennaio 2003, n. 36, in attuazione della direttiva Ue del 1999, che definisce il trattamento del materiale per ridurne la “natura pericolosa”; il decreto del 29 luglio 2004 del Ministero dell’ambiente che propone un regolamento che disciplina le attività di recupero dei prodotti contenenti amianto, il quale, tra l’altro, prende in considerazione anche i trattamenti che annullano la pericolosità connessa ai minerali di amianto e la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 in cui si sostiene che lo stoccaggio in discarica non è un sistema sicuro e che gli impianti di inertizzazione sono di gran lunga preferibili».

«Nonostante questo – prosegue l’ingegner Clarelli – e nonostante i 35 brevetti registrati in Italia e i 13 in Europa da soggetti italiani, relativi all’inertizzazione dell’amianto, come censiti da Assoamianto nel novembre 2013, a oggi per arrivare all’implementazione di questa procedura nel nostro Paese occorre un codice procedurale normativo nazionale specifico riguardante la realizzazione, la gestione, la sicurezza e le situazioni di emergenza. In assenza di questo dispositivo – prosegue – i rischi e le criticità sono molte: la possibile immissione sul mercato di materiali non totalmente inertizzati, possibili alti costi di produzione, scarsa o nulla accettazione e bassa consapevolezza informativa da parte della collettività e la mancata individuazione dei compiti e ruoli dei controllori pubblici».

Insomma le criticità non mancano e sono proprio queste, secondo l’esperto, a bloccare il necessario processo di inertizzazione dell’amianto. Ma nel frattempo, cosa è possibile fare per ridurre al minimo i rischi legati a questo materiale? Lo abbiamo chiesto a David Lisetti, dirigente di un’importante azienda italiana che opera nel settore delle bonifiche ambientali per le aziende interessate allo smaltimento dell’amianto.

«In questo momento – risponde Lisetti – nella maggior parte dei casi il privato, interessato a smaltire dei manufatti contenenti amianto, non ha possibilità di accedere a forme di finanziamento agevolato. La pubblica amministrazione sta muovendo dei passi con l’obiettivo di supportare gli interventi di smaltimento amianto ma i fondi stanziati sono molto inferiori rispetto alle reali necessità. Per fare un esempio, uno strumento ben strutturato ed efficace è quello che ha messo in campo l’Inail con il bando “Isi Inail”. Questo particolare bando finanzia il 65% a fondo perduto dell’importo dei lavori. I fondi stanziati per il 2018 sono 97 milioni, nel 2016 Inail ha erogato contributi per 67 milioni che sono riusciti a coprire solo il 29% delle richieste di finanziamento. È sicuramente lodevole lo sforzo che sta compiendo Inail ma non è sufficiente. Sempre rimanendo sul bando Isi Inail è bene precisare che il meccanismo di erogazione dei contributi è innovativo ed estremamente efficiente ma purtroppo pone una quasi insormontabile barriera (il cosiddetto “Click Day”) all’ingresso per tutte quelle aziende che provano autonomamente ad aggiudicarsi il finanziamento. Per questo motivo noi, come società, offriamo a tutti i nostri clienti la gestione della pratica di finanziamento e della procedura di “Click Day”, in questo modo aumentiamo significativamente le possibilità di aggiudicazione del contributo».