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«Serve una mappa delle cave per sapere cosa e quanto si estrae»

Lo propone Legambiente che commenta il documento di supporto ai Piani attuativi dei bacini estrattivi: «Cave sostenibili? Solo con misure radicali»

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A seguito dell’incontro del 15 aprile, Legambiente ha presentato le osservazioni al rapporto IRTA–Leonardo, di supporto ai piani attuativi di bacino estrattivo (Pabe), finalizzato a individuare le quantità di marmo sostenibili da estrarre.

Due sono le critiche di fondo mosse al rapporto, spiega l’associazione ambientalista:
«1) gli indicatori di sostenibilità proposti non rispecchiano la realtà poiché considerano le cave un comparto produttivo omogeneo, mentre in realtà è caratterizzato da enormi differenze interne. In tal modo, paradossalmente, anche se tutte le cave fossero fuorilegge (perché metà rappresentate da cave di detriti e l’altra metà portasse a valle solo blocchi, abbandonando al monte i detriti), gli indicatori valuterebbero virtuoso l’intero comparto;
2) il rapporto propone meccanismi incentivanti graduali e flessibili per le cave che forniscano maggiore occupazione.»

Legambiente considera tale approccio non solo «inadeguato ma, involontariamente, anche controproducente poiché premierebbe le cave che portano a valle i soli blocchi, abbandonando i detriti al monte. È evidente, infatti, che, se esiste la possibilità di manipolare a proprio vantaggio il valore dell’indicatore, questa sarà certamente utilizzata».

Ritiene inoltre necessario che il Comune «assuma un forte ruolo regolatore, anziché puntare su meccanismi incentivanti per le imprese. Propone pertanto la realizzazione di carte tematiche che classifichino le aree marmifere secondo il valore economico del marmo e secondo il suo grado di fratturazione. Ciò permetterebbe di escludere dalle aree estrattive i giacimenti con basso valore di mercato e quelli con elevata fratturazione (che producono troppi detriti). Considerato che l’occupazione in cava è solo una piccola parte di quella legata all’intera filiera corta e al suo indotto, Legambiente propone di puntare a un consistente e rapido incremento occupazionale, mediante un forte potenziamento della filiera corta, riducendo al minimo l’esportazione di blocchi grezzi».

A tal fine propone di introdurre nel regolamento degli agri marmiferi alcune «semplici» disposizioni:
bandire subito, alla scadenza delle concessioni, le gare pubbliche per il loro rinnovo (senza applicare le folli proroghe fino a 25 anni previste dalla L.R. 35/15);
• porre come requisito di partecipazione alla gara l’impegno a lavorare in filiera corta almeno il 50% dei blocchi e premiare chi si assume impegni maggiori;
• prevedere una breve durata delle concessioni (dieci anni) e il rimborso al concessionario uscente degli eventuali costi non ammortizzati (per macchinari e opere);
• introdurre la clausola sociale (obbligo per il concessionario subentrante di assumere i dipendenti di quello uscente);
• introdurre tra le prescrizioni la cui violazione comporta la decadenza della concessione, misure davvero efficaci per tutelare le acque superficiali e sotterranee e per ridurre il rischio alluvionale.

«Con queste misure – afferma l’associazione – si realizzerebbe in tempi ragionevoli una vera rivoluzione: forte incremento occupazionale nella filiera locale, assegnazione delle concessioni a imprenditori seri, rispettosi delle regole, consapevoli che non potranno più ricorrere al ricatto occupazionale e che, nel caso di inadempienze, saranno loro a doversene andare, ponendo fine a una anacronistica posizione di privilegio quasi a divinis, mentre i lavoratori saranno assunti dal nuovo concessionario. È chiaro che questa strategia volta a ottenere un rapido e consistente incremento occupazionale è possibile solo se vi è una forte volontà politica di cui, al momento, non si vede traccia. D’altronde, senza questa volontà politica, qualunque suggerimento è destinato a cadere nel vuoto o all’inefficacia».

Legambiente, infine, «depreca la mancata trasparenza del Comune che, negando l’accesso ai quantitativi estratti da ciascuna cava, impedisce a cittadini e associazioni di avanzare proposte di piano nell’interesse pubblico. Pertanto, ricordando che un’amministrazione che nasconde i dati ai cittadini non può pretendere la loro fiducia, chiede che i Pabe stabiliscano la piena trasparenza dei dati (col nome delle cave) e che questi siano pubblicati annualmente sul sito del Comune».

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