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«Se la Regione vuole l’80% di detriti dalle cave, lo dica apertamente»

Legambiente Toscana va all'attacco sul Prc: «Non si può sbandierare l’obiettivo di ridurre gli scarti, aumentando prima al 30% la resa in blocchi necessaria per il rilascio delle autorizzazioni e poi ridurla al 20%»

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Nelle sue corpose osservazioni al piano regionale cave (Prc), Legambiente Toscana, chiede innanzitutto coerenza alla Regione: «È inaccettabile dichiarare principi e obiettivi pienamente condivisibili e, poi, adottare misure concrete che vanno in direzione contraria. Non si può, ad esempio, sbandierare l’obiettivo di ridurre gli scarti, aumentando al 30% la resa in blocchi necessaria per il rilascio delle autorizzazioni e poi, nei due commi successivi, ridurla prima al 25-30% e poi al 20%. Legambiente chiede pertanto un linguaggio pulito, senza ipocrisie: se la Regione intende consentire una resa del 20%, aumentando lo sbriciolamento della montagna per ridurne l’80% a detriti, abbia almeno l’onestà di dichiararlo apertamente, anziché nascondersi dichiarando l’obiettivo opposto!». Riportiamo di seguito l’intero intervento dell’associazione ambientalista.

Se la Regione ritiene fondamentale potenziare la lavorazione nella filiera locale per aumentare l’occupazione, non può demandarne il conseguimento alla convenienza degli imprenditori, prospettando vagamente la possibilità di offrire loro premialità con appositi bandi. Deve, invece, assumere un forte ruolo regolatorio, ad esempio bandendo al più presto le gare per il rilascio delle concessioni, richiedendo come requisito di partecipazione almeno il 50% della lavorazione in filiera e premiando nella gara chi si impegna a lavorarne il 60-80-100%.

È infatti evidente che, poiché l’occupazione nella lavorazione del marmo e nell’indotto è di gran lunga superiore a quella nell’escavazione, per incrementare l’occupazione si deve puntare a ridurre a zero l’esportazione dei blocchi. Ogni blocco esportato, infatti, produrrà all’estero la massima parte del valore aggiunto e dell’oc¬cupazione, lasciando in loco solo l’impatto ambientale e una piccola frazione della ricchezza (oltretutto concentrata nelle mani di pochi)

Se la Regione dichiara che il fabbisogno di blocchi per i prossimi 20 anni resta invariato rispetto a quello degli ultimi anni, non può contraddirsi prevedendo obiettivi di produzione sostenibili fortemente superiori a tale fabbisogno.

Se l’individuazione dei giacimenti marmiferi si basa su criteri escludenti e condizionanti, occorre seguirli con coerenza: è inaccettabile, allora, classificare come giacimento estrattivo cave (come Fossa Combratta) che, per esplicita ammissione del PRC, contraddicono tali criteri.

Se l’obiettivo è la riduzione dei detriti, è inammissibile includere nelle aree estrattive i giacimenti con marmo molto fratturato, come le cave del bacino di Ravaccione (Amministrazione, Canalbianco, Rutola, Tecchione, Polvaccio, Collestretto) che producono solo il 3,6-11,4% di blocchi e l’88,6-96,4% di detriti (destinati all’Omya per la trasformazione in carbonato). La cava Amministrazione, la più grande di tutte le Apuane, può essere presa a simbolo delle contraddizioni del PRC: col suo 91,3% di detriti, infatti, toglie ogni credibilità ai principi dichiarati di valorizzare i materiali di cava e ridurre il materiale di scarto.

Tra le richieste di Legambiente vi è quella di assicurare la proprietà comunale del marmo estratto nelle operazioni di messa in sicurezza ordinate dall’ASL, per evitare che queste siano usate strumentalmente come grimaldello per eludere i limiti dell’autorizzazione. Al proposito, ricorda l’esempio della cava Fossa Combratta che, per rimuovere un ammasso instabile di soli 400 m3, ha presentato un piano d’escavazione di ben 56.000 m3!

Chiede inoltre che la risistemazione ambientale delle cave sia limitata alla sola rimozione dei rifiuti e alla messa in sicurezza, vietando il mascheramento dei segni lasciati dall’attività estrattiva (tecchie, gradoni, piazzali, gallerie, cave a fossa ecc.), che cancellerebbero proprio gli elementi che caratterizzano l’identità culturale dei luoghi e l’attrattiva turistica, riducendo uno spettacolare paesaggio di cave ad un paesaggio degradato di discariche.

Per la risistemazione ambientale dei ravaneti, ne richiede la trasformazione in ravaneti-spugna (rimuovendone integralmente terre e marmettola) per ridurre il rischio alluvionale e l’inquinamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti.

Affinché questi obiettivi non vengano vanificati, chiede l’introduzione dell’obbligo ferreo di mantenere costantemente e scrupolosamente pulite tutte le superfici di cava e sanzioni fortemente dissuasive per ogni inadempienza (non economiche, ma sospensioni dell’autorizzazione fino al suo ritiro definitivo).

Giudica palesemente (intenzionalmente?) inadeguato il monitoraggio delle rese in blocchi previsto dal PRC (verifica ogni 5 anni dei quantitativi estratti dal comparto, anziché per ogni singola cava) poiché, di fatto, potrebbe portare al paradosso del rispetto della resa dell’intero comparto anche qualora la totalità delle cave violasse le prescrizioni: ad esempio, metà delle cave estrae solo detriti e l’altra metà porta a valle solo i blocchi (abbandonando i detriti al monte). Non è un caso ipotetico: l’esperienza concreta dell’ultimo decennio non si allontana molto da questa situazione.

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