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«Lasciamo passare queste nubi, che domani splende il sole»

"Da un attimo all'altro, ci ritroviamo ad avere paura": una riflessione sull'Italia che combatte in queste settimane la diffusione del Coronavirus

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E’ una condizione surreale quella che stanno vivendo gli italiani all’indomani del nuovo dpcm firmato dal premier Conte, che contiene misure ancora più restrittive per contenere la diffusione da Covid-19. Un’atmosfera del genere non si respirava forse dagli anni ’40: allora era la guerra a compromettere la quotidianità della gente. Questa volta è un virus, capace di diffondersi con una rapidità che può mettere ko un sistema sanitario nel giro di poche settimane. Per questo sono serviti provvedimenti drastici per contrastarlo. E mentre si attende che passino le settimane per vedere i primi risultati, viene spontaneo riflettere.

Grigio. E’ tutto grigio intorno. Sembra quasi che la città si sia spenta insieme ai suoi bar e ai suoi negozi. Saracinesche abbassate, traffico a singhiozzi, e un coperchio fatto di nubi. Poche le luci rimaste accese: quelle delle insegne di farmacie, supermercati, negozi di alimentari, con i loro addetti muniti di guanti e mascherina. E in tutto questo, il meteo non aiuta. Ci vorrebbe un bel sole, come quello dei giorni scorsi, per attenuare questo nostro senso di desolazione e impotenza. Invece solo nubi, che non fanno che amplificarla, quella sensazione.

Se c’è qualcosa che queste ultime settimane ci hanno insegnato, è che tutto può cambiare nel giro di qualche ora, di qualche secondo. Da un attimo all’altro, ci ritroviamo ad avere paura. Paura di invadere lo spazio dell’altro, di fare un passo in più. Paura di portarsi al volto le proprie mani sporche, che poi tanto sporche non possono essere, tante sono le volte che ci passi sopra l’igienizzante. Paura persino di respirare, perché impariamo, per la prima volta nella nostra vita, che anche un respiro può far male: agli altri, e di conseguenza a noi stessi. Perché oggi, più che mai, noi siamo gli altri. Tutti nella solita condizione, con gli stessi timori e con gli stessi sogni. E con un grande sogno in comune: tornare alla normalità. Per gustarti di nuovo il cappuccino delle 15, quando il bar sotto casa era aperto, ed era scontato che lo fosse. Per tornare al lavoro che rifiutavi perché ti faceva tornare a casa senza forze. Per tornare a prendere quel treno di cui ti sei tanto lamentato per anni, perché non è mai arrivato puntuale. Il treno che ti porta all’università, a fare lezione con quel professore che non sopporti. E per tornare a dare lunghi baci e lunghi abbracci, perché è una follia pensare di averne paura. Ma nel caos, la follia non esiste più.

Viviamo ogni giorno convinti di essere liberi, e che nessuno ci possa togliere quella libertà. E ci svegliamo il giorno dopo, costretti alla presa di coscienza che, almeno per un po’, liberi non lo saremo più. Allora riflettiamo. A voce bassa. Capiamo. Perché abbiamo tanto tempo per farlo, chiusi tra le mura di casa. Rivalutiamo le nostre vite, le nostre abitudini, che prima stancano, e poi mancano come l’aria. E ci consoliamo con un pensiero, mentre guardiamo fuori dalla finestra: che queste nubi passeranno. Perché domani splende il sole.

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