LiguriaNews Genova24 Levante News Città della Spezia Voce Apuana TENews

«Tanta polvere di marmo e poche opere d’arte, basta con l’industria estrattiva» foto

Sotto una bandiera con su scritto "No Cav", un centinaio di persone si sono date appuntamento alla Foce di Giovo per chiedere lo stop all'escavazione sulle Apuane.

Raccogliere firme per limitare l’uso del marmo alla sola pratica scultorea. Questa una delle proposte avanzate ieri alla manifestazione alla Foce di Giovo che si è tenuta per chiedere lo stop dell’industria estrattiva sulle Alpi Apuane.
Sotto una bandiera con su scritto “No Cav”, un centinaio di persone si sono date appuntamento sul prato della Foce di Giovo partendo da 4 Comuni amministrativamente distinti: Massa, Carrara, Fivizzano e Minucciano. Comuni a volte anche politicamente lontani ma piuttosto “vicini” quando si parla di settore lapideo. A organizzare l’evento il fotografo attivista del Cai di Firenze, Gianluca Briccolani, ideatore del progetto “L’altezza della libertà”.
L’obiettivo della giornata era quello di sensibilizzare i partecipanti sull’impatto dell’escavazione sull’ambiente e le conseguenze che comporta in termini sociali. Per questo alcuni percorsi hanno interessato delle cave dismesse in procinto di riaprire con l’approvazione dei Pabe, i piani attuativi dei bacini estrattivi in fase di discussione in diversi comuni.
Durante l’evento hanno preso parola alcuni “pilastri” del mondo ambientalista, fra i quali Elia Pegollo, Alberto Grossi e Nicola Cavazzuti. A Franca Leverotti, attivista del Grig, sono stati rivolti gli applausi dei partecipanti, in larga maggioranza giovani dei movimenti Casa Rossa, Fridays For Future e Athamanta. Primo ad essere contestato il settore del lapideo che in questo angolo di Toscana trova spazio in prossimità di creste e valichi di origine glaciale. E che secondo i manifestanti avrebbe ormai pochissimo di quell’immagine un po’ romantica che lo vorrebbe legato al mondo dell’artigianato e dell’arte. In termini numerici, a Carrara, quell’immagine rispecchierebbe solo l’1,25% del volto reale dell’escavazione: “Ogni anno, solo nel bacino di Carrara, vengono estratte circa 4 milioni di tonnellate di marmo – è intervenuto Nicola Cavazzuti – di queste solo 50 mila sono destinate all’uso ornamentale. Allora a chi risponde che il marmo è importante per il mondo dell’arte diciamo che siamo pronti a raccogliere firme per limitare l’escavazione solo per la realizzazione di statue”.
Altro aspetto contraddittorio che emerge spesso nel dibattito legato al settore, è quello del lavoro. Senza cave, secondo gli imprenditori del marmo, si perderebbero molti posti di lavoro. Per Casa Rossa questo si tratterebbe di un ricatto occupazione paragonabile a quello passato della Montedison e a quello dell’Ilva di Taranto: “La verità è che dietro quest’attività ci sono grandi profitti e che manca la consapevolezza che inquinare un fiume significa far morire delle persone”; per Athamantha sarebbe l’espressione di un”sistema socioeconomico che prevede morte a livello globale”. Un pensiero che lega tutti gli interventi dei partecipanti che vedono nell’inquinamento delle acque un “debito ecologico” verso le generazioni future, come detto da Elia Pegollo, e nella tassa marmi di 20 milioni di euro versata al Comune di Carrara un “insulto all’intelligenza”: “per l’amministrazione di Carrara 4 milioni di tonnellate di montagna valgono 5 euro ciascuna”, è intervenuto Alberto Grossi.
In sostanza l’accusa dei partecipanti all’iniziativa è che ad oggi dal marmo si ricavino poche opere e tanta polvere e detriti utilizzati come composti nelle industrie alimentali e farmaceutiche, mentre ricomporre le montagne, e i corsi d’acqua che le attraversano, appare irrealizzabile. Quella che viene narrata come l’unica attività produttiva possibile per sostenere i comuni, è intervenuto il professor Elia Pegollo, è “una diseconomia senza vantaggi per la collettività”.